Rivendicazione dell’attacco contro BancoEstado
–azione effettuata nella notte tra il 31 maggio ed il 1 giugno 2011, a Santiago del Cile–
dalla versione in inglese waronsociety
traduzione in italiano: cenere(at)inventati.org
Nota di War on Society : Presentiamo questo importante comunicato del Giugno 2011 soprattutto per l’analisi esemplare riguardo a dei temi, anche perché la CCF ha risposto ad esso nel suo testo Fuoco e Polvere nera e perché esso viene citato in un altro comunicato che stiamo traducendo.
* * *
I)
La qualificazione degli attacchi è necessaria considerando che la logica dello stato aumenta e si perfeziona con la stessa rapidità della tecnologia che consente, praticamente, l’intero attuale apparato sociale di dominio e controllo.
La società, come origine primaria di una buona parte delle attuali peggiori situazioni umane, non solo preoccupa riguardo alla sua posizione come condizione per il sostenimento dell’esistenza dell’umanità, ma anche perché si è incaricata di violare le coscienze degli individui cosi come delle collettività con l’idea che essa (la società) sia necessaria per lo sviluppo della piena condizione umana – che è la libertà individuale e collettiva.
La sopravvalutazione del “sociale” ha fatto si che tutti i riferimenti al “naturale*” siano assurdi per definizione, non solo nel senso di qualcosa distante dalla realtà presente, ma anche qualcosa di opposto alla società stessa. Ecco perché l’anarchismo con una prospettiva insurrezionalista si pone in una posizione antisociale.
Senza una vera critica dell’INTERO esistente, non possiamo decidere di esistere pienamente.
La negazione dell’esistente (per esempio la società) ha come suo risultato l’affermazione della nostra individualità, integrità e libera associazione, preparata per tutto ciò che la coscienza di ognuno dica di fare e lieta di agire cosi come premono le proprie passioni, senza giudici oltre che se stessi. In questo senso, le nostre coscienze sono ciò che si forma nel campo della pratica tramite i mezzi delle azioni che negano lo stabilito, il dato, il precostituito, l’esistente… che è : società, stato, famiglia, lavoro salariato, e molto altro. La vita libera è ciò che cerchiamo ai confini di questa stessa negazione, come controparte assoluta della distruzione della macchina del tutto.
Il progresso, che è ciò che da completa unità all’intero flusso della storia dalla modernità, è il più grande mito che governa le coscienze individuali e collettive. Dai marxisti che credono nelle verità assolute e complete, agli anarchici che ammettono che il mezzo più rapido per ottenere la rivoluzione sia l’internazionalizzazione delle idee di libertà nella coscienza collettiva – che è la stessa cosa che il capitalismo fa con l’idea di “competenza”, ma con un altro significato – tutti accettano, forse senza capirlo, l’idea del progresso. Infatti, non solo bisogna respingere l’idea di progresso nel suo senso più rudimentale – che è l’idea di un progresso materiale come nello sviluppo tecnologico – si deve anche rifiutare l’idea di progresso come sviluppo di alcune idee nella coscienza umana. Conseguentemente la critica vale anche per l’altro lato – che è la nozione di capitalismo.
E’ importante capire che il capitalismo e tutto ciò che esso comporta non avanza né progredisce, visto che esso è già completamente realizzato, installato e mediato in tutte le relazioni sociali che accettano, implicitamente o esplicitamente, la logica del mercato, del vincere o perdere, della verità o della falsità, del benefit o del danno. In questo senso, il capitalismo non progredisce (né si trasforma in qualcosa di “migliore”), ma semmai aumenta, visto che è già una parte forzata della realtà.
Questo (ad esempio la realtà) è ciò che, attraverso la sua complessificazione, diventa ancora più sparso, multiforme, e ancora più difficile da individuare, analizzare, combattere e contrattaccato. La qualificazione dell’attacco è una necessaria risposta all’aumento della logica del capitalismo nel campo delle relazioni sociali. Far saltare tutto non è far saltare tutto ciò che può essere fatto saltare, è far saltare le complesse strutture sociali che sono determinate dal commercio e dal suo flusso, e che a loro volto legittimano la stessa struttura sociale. E’ un circolo vizioso nel quale una cosa sostiene l’altra. Non si capisce il capitalismo senza la gente che lo supporta, e non si capisce la gente che lo legittima senza il capitalismo che determina le loro forme. Infatti, attaccare fisicamente le istituzioni del capitale non è attaccare dei simboli, è attaccare la stessa struttura della realtà che determina il campo delle relazioni sociali, in breve, è svalutare la legittimità del capitalismo.
E’ ovvio che ciò non è casuale, come a dire attaccare una banca – attaccare una banca è attaccare la realtà che essa determina, e far saltare il circolo vizioso nel quale le presenti relazioni sociali poggiano.
Questo scenario chiaramente non lascia spazio, o almeno non uno spazio rilevante, alla logica della “protesta” in senso storico/marxista di termini e pratiche, che richiede un comportamento, correlato ad una situazione, nel quale ciò che si cerca è la propagazione di una posizione ideologica che è preformata, preconfigurata, e- soprattutto- preragionata dall’avanguardia intellettuale infallibile della gente organizzata. Nella quale non c’è semplicemente spazio per la coscienza individuale, né più o meno per il dissenso collettivo, visto che questo tipo di comportamento conduce alle “vere verità” di una persona più intelligente rispetto all’individuo comune della povera gente sfruttata, cosi vittime e stupidi che non capiscono cosa passa sotto al loro naso. Dicono che chi ti ama ti picchia, ma considerare ingenue le persone, inconsapevoli e anche “addormentate” vale a dire che l’amore è come mandare qualcuno dallo psichiatra. Una condizione che si aspetta la gente che illusoriamente sogna “rivolte popolari” e un simile crepitare messianico.
II)
E’ a questo punto che le situazioni si intrecciano, le proteste diventano piattaforme, il posto che occupano i soggetti che credono di contribuire democraticamente allo sviluppo della loro società civilizzata, trasformando le dimostrazioni di piazza in semplici momenti di concentrazione di corpi senza iniziativa, gruppi che seguono solo i loro leader nello stesso modo in cui il gregge segue il pastore, condannando tutte le azioni che rompono il loro schema. Sono questi spazi/situazioni che molte volte vengono approvati da individui e/o soggetti che scelgono di organizzare collettivamente, con un punto di vista critico, al fine di attaccare le entità di potere con tutto ciò che hanno in mano. Mentre questo tipo di azione è importante, soprattutto per lasciare la prova che esiste un antagonismo al sistema, consideriamo tuttavia che quelli che rimangono imbrigliati in queste azioni servono solo come un altro ingranaggio del sistema, un sistema che necessita della sua “opposizione” per confermare la propria esistenza e anche per criminalizzare quelli che gli si oppongono. Con ciò non cerchiamo di profetizzare, né di guidare il modo di convogliare lo scontento, ma piuttosto di identificare quelle dimostrazioni che non cercano di espandersi nella vita quotidiana, al fine di criticarle e di non divenire sottomessi ad esse.
E’ a questo punto che vediamo che il modo più ideale di manifestare il nostro scontento è l’ATTACCO, non solo in mere espressioni nelle manifestazioni, dove si supplica per riformare il sistema, noi non ci aspettiamo la minima risposta dal sistema, noi non vogliamo miglioramenti in esso, noi rifiutiamo pienamente tutto ciò che che esso ci possa offrire. E’ per questo motivo che consideriamo l’attacco, in una forma concreta e non in un modo simbolico o retorico, come opzione contro il potere e le entità che esso mette a disposizione della popolazione, come sabotare una banca, espropriare un negozio, bruciare i prodotti che ci offrono in casse di vetro, attaccare i protettori degli interessi del potere e attaccare il potere stesso, queste cose comportano immediate conseguenze negative per la società globalizzata all’interno della quale siamo inclusi.
Questa è la posizione che abbiamo preso nella guerra in cui siamo coinvolti; crediamo che il processo maturativo dell’analisi contestuale dia peso all’ATTACCO come scelta migliore dinnanzi all’assalto furioso e repressivo del potere. Vale a dire, esso risponde ad una “lettura” o interpretazione della realtà e delle sue circostanze. Siamo pienamente consapevoli che questa scelta ha come effetto collaterale un aumento qualitativo delle nostre capacità, tanto per i gruppi quanti per gli individui, che essi sabotino, o pianifichino, dissuadano, ecc.
E’ a questo punto – la stessa qualificazione degli attacchi, insieme all’evidente complessificazione dei componenti scientifico-tecnologici nel funzionamento strutturale del commercio della società – che un aumento nella modalità dell’attacco diventa necessario, sia negli obiettivi da colpire, o nei posti e situazioni per agire. Vale a dire che, in aggiunta alle periodiche azioni incendiarie nei campus universitari (quelle che hanno un carattere d’attacco e non marce hippie) e al collocamento di dispositivi esplosivi nei bancomat (che in nessun modo vogliamo svalutare), la natura degli attacchi si moltiplica costantemente e in modo versatile, trasformandosi in nuovi prodotti che possono essere rubati al mercato, utili nella produzione di dispositivi distruttivi, e/o concentrandosi su nuovi obiettivi che arrivano insieme agli sviluppo tecnologici. Ciò che rivela l’ampia gamma di luoghi è che con un minimo di sicurezza e pianificazione, possono esserci obiettivi di sabotaggio che sono sicuri e veloci per quelli che li attaccano, e che dunque non richiedono alta esposizione o rischi come invece in posti eccessivamente “frequentati”.
Al fine di sviluppare questa qualificazione degli attacchi non fa male condividere, attraverso mezzi sicuri e affidabili, esperienze di questo tipo e contribuire alla discussione che aiuta a generare varietà e creatività nelle forme dell’attacco al dominio. Dunque impedendo la ripetitività che può essere anticipata dagli apparati repressivi, impedendo anche di cadere nella monotonia come conseguenza della stagnazione nella comprensione delle condizioni socio-politiche, avendo cosi a portata di mano la proliferazione di distruzione e sabotaggio ad ogni angolo della società.
Quanto detto richiede ovviamente l’adatta comprensione e prospettiva antagonista rispetto all’ordine sociale, noi svalutiamo comportamenti a metà che utilizzano un discorso negativo ma che non sviluppano una critica autonoma nella pratica.
III)
Non è solo la tecnologia che consente l’approfondimento patogeno delle forme di controllo, ma piuttosto il fatto che tutto ciò, senza una legittimità mediata tramite la società, sia semplicemente impossibile.
Riguardo ad eventi recenti, nei quali diverse individualità liberamente associate (Individualidades tendiendo a lo salvaje) hanno attaccato le istituzioni dell’educazione superiore, soprattutto facoltà coinvolte nella ricerca nanotecnologica, diventa necessario affilare la lama della critica verso le giganti industrie che giocano a manipolare la vita.
Crediamo che lottare sia la conseguenza delle nostre posizioni contro le forme di vita che sono imposte dal potere e legittimate dalle masse, e ciò nel ritorno continuo all’azione diretta che esiste come unica possibilità per riprendere davvero le nostre vite. Agiamo senza limiti, senza rimorso e pentimento. Non si può distruggere l’esistente semplicemente con le pretese di farlo. Queste pretese sono le classiche posizioni della lotta di classe. I compagni messicani hanno fatto l’analogia che noi stessi abbiamo in mente, ovvero la seguente:
“Gli illuminati o i predicatori sono i “rivoluzionari”, sostenuti dalla fede che è la cieca fiducia che un giorno la “rivoluzione” arriverà; i discepoli sono i “potenziali rivoluzionari”; i crociati e le missioni portano la parola nei circoli di gente coinvolte in lotte ecologiste o anarchiche (dove possono trovare “potenziali rivoluzionari”; e gli atei o le sette sono quelli che non credono nei loro dogmi, né accettano le loro idee come coerenti con la realtà.” (23 Maggio 2011)
I rivoluzionari sono gli unici che hanno maggiormente creduto a questa storia. La vecchia storia che il futuro sarà migliore, che stiamo andando verso un domani migliore, che presto o tardi esso arriverà. Niente di più distante dalla realtà. Una domanda basilare rispetto a ciò potrebbe essere: Cosa vi fa pensare che il futuro sarà migliore? E ancora: C’è qualcosa di concreto che vi spinge a pensarlo? Farsi delle domande in primo luogo è fondamentale per chiedersi qualsiasi altra cosa. Nessuno è più cieco di chi non vuole vedere. In questo senso, crediamo che sia necessario per i compagni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, dichiarare in che modo si considerano “rivoluzionari”, e in che senso la loro organizzazione (che è completamente rispettabile e dignitosa) si definisce “organizzazione rivoluzionaria”. Più concretamente, cosa significhi per loro “rivoluzione”. Noi non crediamo nella rivoluzione, ma crediamo che tutte le azioni debbano essere accompagnate da un forte contenuto politico, e che il contenuto politico debba essere solidamente esposto. Le azioni non parlano da sole, come hanno detto molti compagni ovunque. E quindi è necessario prendere parte agli appelli di solidarietà internazionale, che le reti di informazione non siano segmentate. Tramite il dialogo tra compagni affiliamo la critica contro l’intero esistente, mai con il potere, né con la classe politica, né con il riformismo, né ancora meno con le masse che condannano tutto ciò che non è relativo alla pace sociale.
Parlando di ciò, la critica è morta se non è accompagnata dal più dolce dei nettari: l’azione diretta. E’ ciò che contraddistingue una rottura essenziale tra i falsi critici e gli insorti consapevoli che si sono lanciati nell’abisso del nulla in cerca di domande, non risposte. Dissenso eterno, la cui fonte è l’infinitezza della condizione umana, non è altro che la sola risposta alla domanda : Cosa vogliamo? Questo è il senso nel quale gli insorti prendono consapevolezza della loro condizione infinitamente infame che risponde al nulla, che gravita verso il nulla più di se stessi. Noi non abbiamo risposte alle domande che ciascuno si pone, non sappiamo dove stiamo andando, ma abbiamo chiaro da dove veniamo, e su ciò e da che lato stiamo. SEMPRE dalla parte di quelle persone che sono concrete e non pentite nelle loro decisioni, SEMPRE nel cammino dello scontro, e MAI con i timidi che cercano di soddisfare i loro ego con delle pseudo-posizioni.
Le masse, la gente, la cittadinanza, la società civile, il genere umano, la moltitudine, gli sfruttati, le pecore. Tutti nomi per una stessa cosa: “codardi”.
Con quanto detto non intendiamo instaurare nulla, né una forma unica di condotta, tanto meno l’illuminazione delle coscienze. Ma piuttosto esporre semplicemente il punto di vista di distinte individualità, e dare sfumature alle sempre fertili discussioni nell’intensificazione della critica e dell’offensiva contro il prestabilito. Visto che noi siamo quelli che sparano i colpi più accurati, né i più coraggiosi, né pretendiamo di esserlo. In questa maniera rivendichiamo l’attacco compiuto contro la filiale del Banco Estado di Estación Central, situato all’incrocio tra Alameda e Ecuador.
Dopo, nella mattinata del 1 Giugno abbiamo saputo cos’è successo al compagno Luciano… le seguenti (non uniche) parole sono per lui:
Tortuga, tu sei stato capace di trovare le più difficili conclusioni che esistono, ti sei confrontato con i più difficili paradigmi per una persona, e nonostante tutto ciò sei riuscito a vivere con valore le conseguenze delle tue decisioni, decisioni che ti hanno portato a trasportare quel cargo quella notte.
Dobbiamo dire che quando abbiamo saputo del tuo “incidente”, un giorno dopo aver illuminato la notte con quei bancomat, è stata la comprensione più difficile che potevamo avere, immaginare quei secondi interminabili che hai affrontato in quella strada ci ha lacerato l’anima; grande è stato il colpo che abbiamo ricevuto nel vedere con che velocità la stampa ha diffuso la tua immagine senza alcuna considerazione, apparentemente senza pensare alle conseguenze che ciò avrebbe avuto per i tuoi amici e la tua famiglia.
Se solo il timer avesse ritardato un po’ di più, noi non saremmo in questa situazione, ci sarebbe un altro colpo contro gli imbroglioni, gli usurai, ma non è cosi, piuttosto la tua condizione fisica è stata gravemente attaccata, come quelli vicino a te che ora sono molto tormentati dagli agenti del potere.
Dal nostro punto di vista, e aperto alla critica, ti vogliamo libero, anche se ciò significa che tu smetta di respirare – non diciamo morto perché tu non morirai mai, tu sarai sempre dalla nostra parte nel colpire ciò che odiamo- questo è ciò che ognuno di noi vorrebbe se avessimo qualche incidente. Non vogliamo che qualcuno sia il capro espiatorio del potere, siamo liberi e vogliamo morire liberi, che è perché scegliamo il cammino più difficile, il cammino della guerra contro il prestabilito. Tra le tenebre e la distanza, portiamo il tuo impeto nei nostri cuori.
Mauricio Morales e Lambros Foundas vivono in ogni cuore insorto.
Libertà per i prigionieri della CCF in Grecia e ai compagni prigionieri del “caso bombas”.
Solidarietà con il compagno Theofilos Mavropoulos, che è caduto con dignità nelle grinfie del potere durante uno scontro con i poliziotti, e la solidarietà non è solo una parola scritta per gli anarchici.
Diego Rios, Gabriela Curilem, compagno di Theofilos Mavropoulos e compagno di Tortuga : CHE POSSIATE ESSERE SEMPRE FUGGITIVI!!!
Forza a tutti coloro che sono prigionieri nelle gabbie del potere in qualsiasi parte del mondo, che il fuoco di questa notte raggiunga le vostre celle. Nessuno viene dimenticato!
Columnas Antagónicas Incendiarias
* letteralmente “selvaggio”
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$hile – Reivindicación del ataque incendiario a sucursal del BancoEstado en Santiago, $hile
por Columnas Antagónicas Incendiarias
Comunicado:
1.- La cualificación de los ataques es necesaria tomando en cuenta que las lógicas estatales se agudizan y perfeccionan con la rapidez misma de la tecnología que hace posible, en lo práctico, todo el aparataje de dominación y control de las sociedades actuales.
La sociedad, como origen primero de una buena parte de las más peyorativas situaciones humanas actuales, no solo se ha preocupado de posicionarse como condición sustancial a la existencia de la humanidad, sino que también se ha encargado de violar las conciencias, tanto individuales como colectivas, con la idea de que ella es necesaria para el desarrollo de la condición humana plena, es decir, la libertad individual y colectiva. La sobrevaloración de “lo social” ha provocado que toda referencia a “lo salvaje” sea por definición un absurdo, no sólo en el sentido de ser algo lejano a la realidad actual, sino que también por contraposición a la sociedad misma. Por ello mismo, es que el anarquismo desde la perspectiva insurrecionalista se plantea en la posición antisocial.
Sin una crítica verdadera a TODO lo existente, no podemos optar a existir en un sentido íntegro.
La negación de lo existente (la sociedad) da como resultado la afirmación de nuestras individualidades, íntegras y libreasociadas, dispuestas a todo lo que sus propias conciencias les dicten a hacer, y gustosas de actuar según sus pasiones les impulsen, sin mayores jueces que ellas mismas. En este sentido, son nuestras conciencias las que se configuran en el campo de lo práctico por medio de acciones que niegan aquello establecido, lo dado, lo preformado, lo existente… es decir: la sociedad, el Estado, la familia, el trabajo asalariado, entre muchos otros. La vida liberada es la que buscamos en los extremos de la negación misma, como contrapartidas absolutas de la máquina aplastante del todo.
El progreso, como aquello que le da completa unidad a todo el flujo de la historia desde la modernidad, es el mayor de los mitos que gobierna a las conciencias individuales y colectivas. Desde marxistas que creen en verdades absolutas y completas, hasta anarquistas que admiten que el medio más expedito para alcanzar la revolución es la internalización de las ideas de libertad en el consciente colectivo, es decir, lo mismo que hace el capitalismo con la idea de “competencia”, pero con otra significación, aceptan, quizás sin advertirlo, la idea de progreso. Por ello, no solo hay que desdeñar la idea de progreso en su sentido más rudimentario, es decir, la idea del progreso material en tanto avance tecnológico, sino que también la idea de progreso como avance de unas ciertas ideas en las conciencias humanas. En consecuencia con ello, la crítica también va para el otro lado, es decir, a la noción de capitalismo.
Es importante advertir que el capitalismo y todo lo que él implica no avanza ni progresa, pues ya está completamente posicionado, instalado y mediando toda relación social que acepte, implícita o explícitamente, las lógicas del mercado, del ganar o perder, del verdadero o falso, del beneficio o daño. En ese sentido el capitalismo no progresa (ni se transforma hacia algo “mejor”), sino que se agudiza, dado que ya es parte forzosa de la realidad.
Esta misma, la realidad, es aquella que por medio de su complejización se vuelve más dispersa, poliforme, y por ende más difícil de detectar, analizar, combatir y pugnar. La cualificación del ataque es una respuesta necesaria a la agudización de las lógicas del capitalismo en el campo de las relaciones sociales. Reventarlo todo, no es reventar todo lo que se pueda reventar fácticamente, es reventar las complejas estructuras sociales que están determinadas por la mercancía y su flujo, y que a su vez se legitiman en la misma estructura social. Es un círculo vicioso, en el que una cosa sustenta a la otra. No se entiende el capitalismo sin el pueblo que lo avala y no se entiende el pueblo que lo legitima sin el capitalismo que determina sus formas. Por ello, atacar físicamente a las instituciones del capital no es atacar a símbolos, es atacar a la estructura misma de la realidad, que determina el campo de las relaciones sociales, en definitiva, es des-fundamentar la legitimación del capitalismo.
Es una apuesta que no es azarosa, como atacar un banco, pues atacar un banco es atacar la realidad que él determina, y reventar el círculo vicioso en que se basan las relaciones sociales actuales.
Este escenario claramente no deja lugar, relevante al menos, para las lógicas de la “protesta” en el sentido histórico/marxista del término y práctica, las cuales reivindican una postura, frente a una coyuntura, en donde se busca la propagación de una posición ideológica pre-formada, pre-configurada, y lo que es más importante aún, pre-Razonada por la nunca mal ponderada vanguardia intelectual del pueblo organizado. En donde simplemente no hay lugar para la conciencia individual, ni mucho menos para disentir colectivamente, ya que una postura como esta realza las “verdades verdaderas” de una persona mucho más inteligente que el común del pobre pueblo explotado tan víctima y tan estúpido que no se da cuenta de lo que pasa frente a sus narices. El que te quiere te aporrea dicen, pero tratar de ingenuos, inconscientes y hasta de “dormidos” al pueblo que dicen amar es como para mandarlos al psiquiatra. Una condición esperable de personas que sueñan ilusamente en “levantamientos populares” y cuanta cháchara mesiánica afín hay.
2- Es en este punto donde se entrelazan situaciones, las protestas se transforman en plataformas, el lugar que ocupan los sujetos que creen aportar de manera democrática al desarrollo de su sociedad civilizada, transformando las manifestaciones callejeras en meras caminatas o concentraciones de cuerpos carentes de iniciativa, grupos que sólo siguen a su líder, de la misma forma como el rebaño sigue al pastor, condenando todo acto que rompa su esquema. Son estos espacio/situaciones, que muchas veces son aprovechados por individualidades y/o sujetos que escogen organizarse de manera colectiva, con un punto de vista crítico, para atacar a las entidades del poder con todo lo que tengan a mano. Si bien este tipo de acciones son importantes, en gran medida para dejar en evidencia que existe un antagonista al sistema, consideramos, sin embargo, que aquellos que se quedan estancados en este tipo de acciones, sólo sirven como un engranaje más del sistema, sistema que necesita de su “oposición” para validar su propia existencia, como también criminalizar a quien se le opone. Con lo planteado no buscamos profetizar, ni guiar las formas de focalizar el descontento, pero si identificar aquellas demostraciones que no buscan expandirse en la cotidianidad de la vida, para criticarlas y no incurrir en ellas.
Es en este punto donde vemos que la manera más idónea de manifestar nuestro descontento es el ATAQUE, no basta con la mera expresión en manifestaciones, donde se mendigan reformas al sistema, nosotrxs no esperamos ni la más mínima respuesta del sistema, no queremos mejoras en éste, rechazamos de plano todo lo que nos pueda ofrecer. Es por esta razón que vemos el ataque, en una forma concreta y no de forma simbólica o retórica, como opción contra el poder y las entidades que éste pone a disposición de la población, ya que inhabilitar un banco, saquear una tienda, quemar los productos que se nos ofrecen en vitrinas, atacar a los protectores de los intereses del poder y al poder en sí, trae consecuencias negativas inmediatas a la sociedad globalizada en las que nos vemos insertos.
Esta es la posición que hemos tomado en la guerra en la que estamos envueltxs, creemos que el proceso madurativo del análisis contextual, da por inercia al ATAQUE como la mejor opción, ante los embates represivos del poder. Es decir, responde a una “lectura” o interpretación de la realidad y sus circunstancias. Tenemos pleno conocimiento que esta opción tiene por causalidad un crecimiento cualitativo de nuestras capacidades, tanto grupales como individuales, ya sean de sabotaje, disuasión, planificación, etc.
Es en este punto, la cualificación misma de los ataques, sumado a la evidente complejización de los componentes científico-tecnológicos incorporados al funcionamiento de la estructura de la sociedad de mercado, que se hace necesaria una ampliación en el modo de ataque, ya sea en los objetivos a embestir, en los lugares y situaciones donde actuar. Es decir que además de las ya recurrentes acciones incendiarias en las casas universitarias y poblaciones (las que tienen un carácter de ataque y no de marcha hippi), o de las colocaciones de artefactos explosivos en cajeros (que de ningún modo se pretenden desestimar), se multiplique la naturaleza de los ataques constante y versátilmente, recurriendo a nuevos productos que se puedan robar al mercado, útiles en la fabricación de artilugios dañinos, y/o fijándose en nuevos objetivos que surgen con los mismísimos desarrollos tecnológicos. Lo que revela la amplia gama de lugares que con una mínima seguridad y planificación, pueden ser objetivos de sabotajes seguros y rápidos para quienes los ataquen, y que por tanto no necesitan una exposición o riesgo mayor como el que se da en lugares demasiado “frecuentes”.
Para desarrollar tal cualificación de los ataques nunca está demás compartir, por medios seguros y confiables, experiencias de esta índole y contribuir a la discusión que ayude a generar la variedad y creatividad en las formas de atacar el dominio. Con esto evitar la repetitividad que puede ser anticipada por los aparatos represivos, como también evitar caer en la monotonía como consecuencia de un estancamiento en la comprensión de las condiciones socio-políticas, teniendo tan a la mano la proliferación de la destrucción y el sabotaje en cada rincón de la sociedad.
Todo lo anterior requiere obviamente el propio reconocimiento y posicionamiento como antagonista al orden social, desestimamos posturas a medias que utilizan un discurso negador, pero no desarrollan la crítica autónoma en la práctica.
3.- No sólo la tecnología permite la profundización patógena de las formas de control, sino que, todas ellas, sin una legitimidad mediada por la sociedad, es sencillamente imposible.
A propósito de los últimos acontecimientos, en los cuales distintas individualidades libreasociadas (individualidades tendiendo a lo salvaje) han atacado instituciones de educación superior, específicamente escuelas relacionadas con la investigación nano-tecnológica, es que se hace necesario afilar el puñal de la crítica con respecto a las gigantes industrias que juega a manipular la vida.
Creemos que la lucha es la consecuencia de nuestros posicionamientos frente a las formas de vida impuestas por el poder, y legitimadas por la masa, y es en el eterno devenir de la acción directa en donde está la única posibilidad de tomar nuestras vidas como realmente nuestras. Actuamos sin límites, sin pudor y sin ternura. A lo existente no se le puede reventar solo con las pretensiones de hacerlo. Esas pretensiones son las clásicas posturas de la lucha de clases. Lxs compañerxs mexicanxs hicieron la analogía que nosotrxs mismxs teníamxs en mente, es la siguiente:
“lxs iluminadxs o lxs predicadorxs son lxs “revolucionarixs”, mantenidxs por la fe la cual sería la confianza a ciegas que tienen con que algún día llegue la “revolución”, lxs discipulxs serían lxs “potencialmente revolucionarixs”, las cruzadas o las misiones serían llevar la palabra a lxs círculos de implicadxs en luchas verdes o anarquistas (donde según se encuentran lxs “potencialmente revolucionarixs”) y lxs atexs o las sectas serían lxs que no creemos en sus dogmas, ni aceptamos sus ideas como coherentes con la realidad.” (23 de mayo, 2011)
Lxs revolucionarixs, son aquellos que se han creído más éste cuento. El viejo cuento de que el futuro será mejor, que vamos caminando hacia un mejor mañana, que tarde o temprano llegará. Nada más alejado de la realidad. Una pregunta básica frente a esto sería: ¿Qué te hace pensar a ti que el futuro será mejor? Y mas aún, ¿hay algo concreto que te lleve a pensar así? Cuestionarnos a nosotrxs mismxs en primer lugar es primordial para cuestionar todo lo demás. No hay peor ciego que el que no quiere ver. En este sentido, creemos que se hace necesario para lxs compañerxs de Conspiración de Células del Fuego, aclarar de qué forma es que se hacen llamar “revolucionarixs”, y en que sentido su organización (que es del todo respetable y digna) se hace llamar “organización revolucionaria”. Mucho más concretamente, que significa para ellos “revolución”. No creemos en la revolución, pero si creemos que toda acción debe estar acompañada de un fuerte contenido político, y ese contenido político debe estar sólidamente argumentado. Los hechos no hablan por si mismo, como ya lo han dicho bastantes compañerxs en todo el planeta. Y por ello que es necesario, tomando en cuenta el llamamiento a la solidaridad internacional, que las redes de información no sean tan sectorizadas. En el diálogo entre compañerxs vamos afilando la crítica a todo lo existente, nunca con el poder, ni con la clase política, ni con el reformismo, ni mucho menos con la masa que condena todo aquello que no este acorde con la paz social.
Dicho sea de paso: la critica, es estéril si no está acompañada por el mas dulce de los néctares: la acción directa. Es esta la que marca una ruptura esencial entre lxs falsxs críticxs y aquellas conciencias insurrectas que se han arrojado al abismo de la nada en busca de preguntas, no de respuestas. El eterno disentir, que se funda en la infinitud de la condición humana, no es otra cosa más que la única respuesta a la pregunta ¿Qué es lo que queremos? Éste es el sentido en que lxs insurrectxs toman conciencia de su condición infinitamente ínfima, que no es repuesta a nada, que no es gravitante para nada más que su propio yo. No tenemos las respuestas a las preguntas que todxs quieren responder, no sabemos a donde vamos, pero tenemos claro de donde venimos, y al lado de qué y de quienes estamos. SIEMPRE al lado de las personas consecuentes y no arrepentidas de sus decisiones, SIEMPRE en la vereda del enfrentamiento, y NUNCA con los tibios que han buscado satisfacer sus egos con pseudo-posicionamientos.
Las masas, el pueblo, la ciudadanía, la sociedad civil, las personas, la gente, lxs explotadxs, el ganado. Todos ellos son nombres de la misma cosa: “cobardes”.
Con lo anterior no pretendemos instaurar nada, ni una forma única de posicionarse, ni mucho menos iluminar las conciencias. Sino simplemente exponer el punto de vista de distintas individualidades, y aportar matices a las discusiones siempre fértiles en la agudización de la crítica y la ofensa a lo establecido. Ya que no somos quienes dan los disparos más certeros, ni lxs más chorxs, ni pretendemos serlo. De tal manera reivindicamos el ataque realizado a la sucursal del Banco Estado de Estación Central, ubicado en la intersección de la Alameda con Ecuador.
Posteriormente, y en la mañana del día 1º de junio nos enteramos de lo sucedido al compa Luciano… para él las siguientes (no sólo) palabras:
Tortuga, tú fuiste capaz de sacar las conclusiones más difíciles que existen, te enfrentaste a los paradigmas más complicados para una persona, y a pesar de todo esto fuiste capaz de vivir con valor las consecuencias de tus decisiones, decisiones que te llevaron a portar esa carga aquella noche.
Debemos decir que cuando nos enteramos de tu “accidente”, un día después de haber iluminado la noche con aquellos cajeros, fue el más duro despertar que pudimos haber querido, el imaginar los interminables segundos que tuviste que aguantar en esa calle, nos clava el alma, grande fue el golpe que recibimos al ver cómo la prensa festina con tu imagen, sin ninguna consideración, parece no importarles las consecuencias que esto trae para tus amigxs y familiares.
Si tan solo el timer se hubiese demorado un poco más, no estaríamos en esta situación, hubiese sido otro golpe más a los embusteros, a los usureros, pero no se dio, sino que al contrario tu condición física fue gravemente afectada, asimismo tus cercanos arduamente hostigados por la (des)inteligencias del poder.
Desde nuestro punto de vista, y aceptando las críticas, te deseamos libre, aunque esto implique que dejes de respirar, no decimos muerte porque tu jamás morirás, siempre estarás a nuestro lado golpeando a lo que tanto odiamos, es lo que cualquiera de nosotrxs querría de habernos pasado algún percance. No queremos que nadie sea el chivo expiatorio del poder, somos libres y como tales queremos morir, por eso escogimos el camino más difícil, el camino de la guerra a lo establecido. Desde las oscuridades y las distancias llevamos en nuestros corazones tu ímpetu.
Mauricio Morales y Lambros Foundas viven en cada corazón insurrecto.
Libertad para lxs presxs de C.C.F. en Grecia y a lxs compañerxs secuestradxs del “caso bombas”.
Solidaridad con el compañero Theofilos Mavropoulos, que cayó en las garras del poder al enfrentarse dignamente contra la yuta, y la solidaridad no es palabra escrita entre anarquistas.
Diego Ríos, Gabriela Curilem, el acompañante de Theofilos M y el compañerx de Tortuga:
¡¡¡QUE SU FUGA SEA ETERNA!!!
Fuerza a todxs lxs secuestrados en las jaulas del poder en cualquier parte del mundo, que el fuego de esta noche llegue a sus celdas. Nadie está olvidado!
Columnas Antagónicas Incendiarias.