November 2024 M T W T F S S 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Categories
Archives
Culmine, anno 1, numero 1
Posted in informalità
Tagged culmine, severino di giovanni
Comments Off on Culmine, anno 1, numero 1
Renzo Novatore – Il mio individualismo iconoclasta
“Io ho lasciato per sempre la vita delle pianure”
E. Ibsen
1. Anche le più pure sorgenti di Vita e di Pensiero che zampillano fresche e ridenti fra le rocce solitarie delle più alte montagne per dissetare gli eletti della Natura, quando sono scoperte dai demagogici pastori dell’ibrido gregge borghese o proletario ben presto si tramutano in fetide pozzanghere laide e melmose. Oggi è la volta dell’Individualismo! Dal volgare crumiro all’idiota e ripugnante poliziotto, dal miserabile venduto alla spregevole spia, dallo schiavo vigliaccamente imbelle all’autoritario ripugnante e tiranno, parlano d’Individualismo. È la moda!
Anche i rachitici intellettualoidi del tubercoloso conservatorismo liberale, come i malati di cronica sifilide democratica, fino agli eunuchi del socialismo ed agli anemici del comunismo, tutti parlano e posano ad Individualisti!
Comprendo che non essendo l’Individualismo una scuola e tanto meno un partito, non può essere “unico” ma è più vero ancora che gli Unici sono individualisti. Ed io come unico balzo sul campo di battaglia, snudo la mia spada e difendo le mie intime idee d’individualista estremo, di Unico indiscutibile, poiché possiamo essere scettici ed indifferenti, ironici e beffardi quanto vogliamo e possiamo, ma quando si è condannati a sentire dei socialisti più o meno teorizzanti ad affermare sfacciatamente ed ignorantemente che non vi è nulla d’incompatibile fra l’idea Individualista e quella collettivista, e che si tenta stupidamente di far passare un titanico cantore dell’eroica potenza dominatrice di fantasmi umani, morali e divini, che freme e palpita, tripudia e si espande, al di là del bene e del male della Chiesa e dello Stato, dei Popoli e della Umanità fra gli strani bagliori d’un nuovo incendio d’amore incompreso come il lirico creatore di Zarathustra, per un povero e volgare profeta del Socialismo che è scuola di vigliaccheria, o un iconoclasta invincibile ed insuperabile come Max Stirner per uno strumento qualsiasi messo lì a disposizione dei frenetici fautori del comunismo, allora si può avere sì un’ironica smorfia sulle labbra ma poi bisogna in-sorgere risolutamente per difendersi e per aggredire, poiché chi si sente davvero Individualista di principio, di mezzo e di fine, non può tollerare di essere minimamente confuso fra le turbe incoscienti d’un morboso gregge belante.
2. L’Individualismo com’io lo sento, lo comprendo e lo intendo, non ha per fine né il Socialismo, né il Comunismo, né l’umanità. L’Individualismo ha per fine se stesso. Continuino pure i cervelli atrofizzati dal positivismo spenceriano a credersi Individualisti senza accorgersi che il loro venerato maestro è un anti-individualista per eccellenza poiché egli altro non è che un radicale monista, e come tale, amante sviscerato dell’unità e nemico giurato della particolarità. Egli, come tutti gli scienziati e i filosofi più o meno monisti, nega tutte le distinzioni, le diversità; e per affermare l’illusione sacrifica la realtà. Il suo sforzo è teso a dimostrare realtà l’illusione, ed illusione la realtà. Egli non potendo comprendere il vario, il particolare, sacrifica l’uno o l’altro sull’altare dell’universale. Egli combatte sì lo Stato in nome dell’individuo, ma al pari di tutti i sociologi di questo mondo, egli ritorna a sacrificare sotto la tirannide di un’altra società libera e perfetta, poiché lui combatte, è vero lo Stato, ma lo combatte soltanto perché così com’è non funziona come piace a lui…
Ma non perché egli abbia compreso le unicità anticollettiviste ed antisociali capaci alle attività superiori dello spirito, del sentimento e dell’eroica e spregiudicata potenza. Egli odia lo Stato ma non penetra né comprende l’individuo misterioso, aristocratico, vagabondo, ribelle! E da questo punto di vista non so perché anche quel bolso ciarlatano, quell’antropologo fallito, gonfio e rigonfio di sociologia di Darwin, di Comte, di Spencer e di Marx, che ha seminato porcherie a piene mani su dei colossi dell’Arte e del Pensiero come Nietzsche, Stirner, Ibsen, Wilde, Zola, Huysman, Verlaine, Mallarmé, ecc. e che si chiama Max Nordau; non so spiegarmi, ripeto, come mai anch’egli non sia stato chiamato Individualista… poiché anche Nordau, come lo Spencer, combatte lo Stato…
3. Giovanni Papini scrivendo di Spencer dice: “Come scienziato si piegò dinanzi ai fatti, come metafisico dinanzi all’inconoscibile, come moralista dinanzi al fatto immutabile delle leggi naturali. La sua filosofia si materiò di paura, d’ignoranza e di obbedienza: grandi virtù al cospetto di Cristo, ma vizi tremendi per chi vuole la supremazia dell’individuo. Egli fu, né più né meno, un falsario dell’individualismo”. Ed io, pure essendo tutt’altro che un papiniano, in questo caso sono ultra d’accordo con lui !
4. E. Zoccoli, che è un profondo conoscitore del pensiero anarchico ed un intellettuale di massima portata, ma che fa professione d’una pietosa morale borghese, nel suo colossale studio “L’Anarchia”, dopo aver inveito – sia pure con serenità ed una qualche ragione – contro i massimi agitatori del pensiero anarchico, da Stirner a Tucker, da Proudhon a Bakunin, si rammarica col Kropotkin perché trova che questo non è stato capace di sviluppare un nuovo anarchismo rigorosamente scientifico e sociologico come si era permesso per richiamare tutti i forsennati delinquenti dell’anarchismo estremo, o dell’Individualismo, alle sane correnti d’un vischioso sistema positivistico e scientificamente materialista ed umanista, semispenceriano, perché è questa famosa scienza che ha finalmente scoperto la nullità dell’individuo “davanti all’immensità senza limiti…”. Ed anche per il Kropotkin positivista, umanista, comunista e scientifico… pare che l’uomo sia “un piccolo essere con ridicole pretese” e così sia! Chi è concentrato nella sociologia non può essere nulla di più che uno scienziato di collettività che dimentica l’individuo per cercare l’Umanità e porta sul Trono Imperiale ai piedi del quale l’Io deve rinnegare se stesso ed inginocchiarsi commosso.
E quando tutti gli anarchici avranno della Vita questo sublime concetto anche E. Zoccoli sarà lieto e contento, poiché dandosi la serafica posa d’un profeta che dice agli uomini: “Io sono venuto ad offrirvi la possibilità d’una nuova Vita!”, egli si rivolge a noi e dice: “Che gli anarchici rientrino nel diritto e il diritto li attende, pronto ad estendere anche ad essi le sue garanzie…” Ma che cosa è il diritto?
Diamo la parola allo Stirner:
“II Diritto è lo spirito della Società. Se la Società ha una volontà è precisamente questa volontà che costituisce il Diritto: la Società non esiste che per il Diritto. Ma siccome essa non esiste che per il fatto di esercitare una sovranità sull’individuo, si può dire che il Diritto è la sua volontà sovrana.
“ Poiché Aristotele disse: “la giustizia è il frutto della Società”. Ma “ogni diritto esistente è diritto straniero, un Diritto che mi si accorda, di cui mi si permette di godere. Avrò il buon diritto della mia parte perché il mondo intiero mi da ragione? Che cosa sono dunque i miei diritti nello Stato o nella Società se non dei diritti esteriori, dei Diritti ch’io ottengo da altri? Se un imbecille mi da ragione tosto il mio diritto mi diventa un sospetto, perché non tengo in considerazione la sua approvazione. Ma se fosse anche un saggio che mi approva io non potrei per ciò dire di aver ragione. Il fatto di aver ragione o torto è assolutamente indipendente dall’approvazione del pazzo o del savio”. Ora aggiungiamo ancora, a questa definizione che il ferigno ed invincibile Ribelle tedesco ci da del Diritto, il celebre aforisma di Protagora “L’uomo misura tutte le cose”, e poi possiamo muovere in guerra contro ogni diritto esteriore ed ogni esteriore giustizia, poiché “la giustizia è il frutto della Società”.
5. Lo so! Lo so e lo comprendo: le mie idee – che non sono poi nuove – potranno far sanguinare il cuore troppo sensibile dei moderni umanisti che pullulano in grande abbondanza fra i sovversivi, ed i romantici sognatori di una fulgida umanità redenta e perfetta, danzante in un regno fatato di generale e collettiva felicità musicata dal magico flauto della pace perenne e della fratellanza universale. Ma chi insegue fantasmi si allontana dal vero, e poi si sappia che il primo ad essere arso fra le fiamme del mio corrodente pensiero fu l’intimo essere mio, il vero me stesso! Ora fra il rogo ardente delle mie Idee anch’io son diventato di fiamma; e scotto, brucio, corrodo… A me devono accostarsi soltanto coloro che gioiscono contemplando ardenti vulcani che lanciano verso le stelle le lave sinistre esplodenti dal loro seno di fuoco per poscia lasciarle cadere nel Nulla o fra la Morta Città degli uomini imbelli, dei miei fratelli carogne, per farli fuggire con fuga frenetica fuori dei loro muffiti tuguri tappezzati di rancidi e vecchi ideali. Io mi dichiaro in guerra aperta, palese e nascosta, contro la Società: contro ogni Società! Io penso, io so, che fin che ci saranno degli uomini ci sarà una società, poiché questa putrida civiltà con le sue industrie ed il suo progresso meccanico ci ha ormai portati ad un punto dove non è neppure più possibile tornare indietro fino all’invidiabile età delle caverne e delle spose divine che allevavano e difendevano i nati dal loro libero ed istintivo amore come bionde e feline Leonesse abitanti maestose foreste profumate, verdi e selvagge; ma pure so e penso con altrettanta certezza che ogni forma di società – ed appunto perché società – vorrà, per il suo bene, l’individuo umiliato. Anche il comunismo che – a quanto ci raccontano i suoi teorizzatori – è la forma di Società più umanamente perfetta, non potrà riconoscere in me che uno dei suoi membri più o meno attivo, più o meno stimato… Io per il comunismo potrà valere per quanto sarò di me stesso, di intimamente mio, di Unico e perciò incomprensibile alla collettività. Ma ciò che è in me di più incomprensibile, di più misterioso ed enigmatico per la collettività è appunto il mio tesoro più prezioso, il mio bene più caro poiché è la mia intimità più profonda la quale io solo posso giustificare ed amare poiché solo io la comprendo.
Basterebbe ad esempio ch’io dicessi al comunismo: “l’eletto esiste per non far nulla” come dice Oscar Wilde, per vedermi scacciare come un lebbroso siberiano dalla cena sacra dei nuovi Dei! Eppure uno che avesse l’imperioso bisogno di vivere la propria vita nell’atmosfera altamente e sublimemente intellettuale e spirituale del Pensiero e della contemplazione, non potrebbe dar nulla di materialmente e moralmente utile e buono alla comunità, perché ciò che potrebbe dare sarebbe incomprensibile, e per ciò nocivo ed inaccettabile, poiché egli non potrebbe dare che una strana dottrina propugnante la gioia di vivere nell’ozio contemplativo. Ma in una società comunista – come e peggio in qualsiasi altra forma di società – una tale dottrina potrebbe far opera di corruzione fra la falange di coloro che devono produrre per il mantenimento e l’equilibrio collettivo e sociale. No! Ogni forma di società è il prodotto delle maggioranze. Per i grandi Geni o per i grandi delinquenti non vi è posto fra la mediocrità trionfante che domina e comanda.
6. Qualcuno mi obietterà che in quest’Alba vermiglia, in questa grandiosa vigilia d’armi e di guerra ove già risuonano frago-rosamente le note vibranti e fatidiche del gran crepuscolo dei vecchi Dei, mentre all’orizzonte già sorgono i raggi biondi e dorati d’un ridente avvenire, non è Bene partorire alla luce del sole certi intimi e delittuosi pensieri… È una vecchia quanto stupida storia! Ho ventinove anni, sono quindici anni che milito nel campo libertario e vivo anarchicamente, e mi si è sempre detto le stesse, le stessissime cose:
“Per amore della concordia… “.
“Per amore della propaganda… “.
“Per la prossima Rivoluzione Sociale e redentrice…”.
Per… ma a che prò continuare!
Basta! Non posso più tacere!
“Se io tenessi rinchiuso nel mio cassetto un manoscritto ancora inedito, il manoscritto d’un opera bellissima che a leggersi desse brividi di voluttà sconosciute e scoprisse mondi ignorati; se io fossi certo che gli uomini su queste pagine impallidissero di spavento, e poi errassero lentamente per le vie deserte cogli occhi ferocemente dilatati nel vuoto e poi cercassero cinicamente la morte quando la pazzia non corresse loro incontro colle sue risate sinistre come lo scrosciare dei venti, e il suo lugubre stamburare di dita invisibili sui loro cervelli devastati; se io fossi certo che le donne sorridessero oscenamente e colle sottane rialzate si sdraiassero sull’orlo dei marciapiedi in attesa d’un maschio qualsiasi, e i maschi si gettassero di schianto su loro per straziarne coi denti la vulva e la gola; se le folle ubriache e affamate rincorressero a colpi di coltello pochi uomini fuggenti e tra essere ed essere ci fosse un morto a perpetuarne l’odio profondo; se dalla terra dovesse sparire per sempre la pace d’un ora, la calma dello spirito, l’amore, la lealtà, l’amicizia, e al loro posto dovessero per sempre regnare la turbolenza, l’irrequietezza, l’odio, la menzogna, l’inimicizia, la pazzia, la tenebra, la morte; se tutto questo dovesse farlo un libro bellissimo scritto da me ancora inedito e rinchiuso nel mio cassetto io lo pubblicherei quel libro e non avrei pace finché non fosse pubblicato”.
Così Persio Falchi scriveva sulla “Forca” parecchi anni orsono per esprimere il suo concetto sulla Libertà dell’Arte, così io oggi ripeto sull’Iconoclasta! per esprimere il mio concetto sulla Libertà del Pensiero.
È un mio assoluto ed imperioso bisogno quello di lanciare fra la tenebra la luce turbinosa e sinistra dei miei pensieri e il sogghigno incredulo e beffardo delle mie idee sanguinanti che, orgogliose e superbe di mostrare le loro rigogliose e spregiudicate nudità, se ne vogliono andare libere per il mondo alla ricerca di virili amplessi. Nessuno può essere più rivoluzionario di quello ch’io sono, ma è appunto per questo che voglio lanciare il corrodente mercurio dei miei pensieri fra la senile impotenza degli eunuchi dell’Umano Pensiero. Non si può essere rivoluzionari a metà, né pensare a metà. Bisogna essere come Ibsen, rivoluzionari nel senso più completo e radicale della parola. E tale sento di essere io!
7. La Storia, il Materialismo, il Monismo, il Positivismo e tutti quanti gli “ismi” di questo mondo sono ferri vecchi e rugginosi che non mi servono più e più non mi riguardano. Ho per principio la Vita, per fine la Morte. Voglio vivere intensamente la mia Vita per abbracciare tragicamente la mia Morte.
Voi aspettate la Rivoluzione! E sia! La mia è da molto tempo incominciata! Quando sarete pronti – Dio che lunghissima attesa! – non proverò disgusto a percorrere un tratto di cammino insieme con voi!
Ma quando vi fermerete io continuerò la mia marcia folle e trionfale verso la grande e sublime conquista del Nulla!
Ogni Società che voi costruirete avrà i suoi margini e sui margini di ogni Società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati, dai pensieri vergini e selvaggi che solo sanno vivere preparando sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli!
Io sarò fra quelli!
E dopo di me, come prima di me, ci saranno sempre di quelli che diranno agli uomini:
“Rivolgetevi dunque a voi stessi, piuttosto che ai vostri dei o ai vostri idoli: scoprite in voi ciò che è di nascosto: traetelo alla luce: rivelatevi!”.
Poiché ogni uomo che frugando la sua intimità estrae ciò che vi è di misteriosamente nascosto è un’ombra che oscura ogni forma di Società vivente sotto i raggi del Sole! Ogni Società trema quando l’aristocrazia sprezzante dei Vagabondi, degli Unici, degli Inaccessibili, dei dominatori dell’ideale, e dei Conquistatori del Nulla, spregiudicatamente si avanza. Orsù, dunque, o Iconoclasti, avanti!
“Già il ciclo gravido di presentimenti si oscura e tace!”
Arcola, Gennaio 1920
Posted in General, informalità, nichilismo
Tagged nichilismo
Comments Off on Renzo Novatore – Il mio individualismo iconoclasta
Il primo documento teorico di Azione Rivoluzionaria
«La borghesia può far esplodere e distruggere il suo mondo prima di abbandonare la scena della storia. Noi portiamo un nuovo mondo quì, nei nostri cuori. Quel mondo sta nascendo in questo istante.» (B. DURRUTI)
E’ vero quanto scrive Debord che la “vita quotidiana è misura di tutte le cose: della realizzazione o piuttosto della non realizzazione di rapporti umani, dell’uso che noi facciamo del nostro tempo”. E’ pacifico che il fine della rivoluzione oggi debba essere la liberazione della vita quotidiana. Una rivoluzione che mancasse di realizzare questo fine sarebbe una controrivoluzione. Siamo NOI che dobbiamo essere liberati, le nostre vite quotidiane, non universali, come “storia” o “società”. La liberazione rivoluzionaria ci si presenta come un’autoliberazione che raggiunge dimensioni sociali, non una “liberazione di massa” o una “liberazione di classe” dietro cui si nasconde sempre una élite, una gerarchia, uno Stato. Qualsiasi gruppo rivoluzionario che voglia sinceramente eliminare il potere dell’uomo sull’uomo deve spogliarsi delle forme del potere – gerarchie, proprietà, feticci – come dei tratti burocratici e borghesi che consciamente o inconsciamente rafforzano autorità e gerarchia e deve essere soprattutto consapevole che il problema dell’alienazione esiste per tutti, che, cioè è propria di tutti i gruppi organizzati “la tendenza a rendersi autonomi, cioè ad alienarsi dal loro fine originale e a divenire un fine in se stessi nelle mani di quelli che li amministrano”. Ciò è macroscopicamente vero per i partiti ufficiali ma è vero in generale. Il problema non può che essere risolto completamente che nel processo rivoluzionario stesso, parzialmente con un drastico rifacimento del rivoluzionario e del suo gruppo. Azione Rivoluzionaria è stato definito un “gruppo anarchico”, con gran dispiacere, pare, delle cariatidi ufficiali che pretendono il monopolio del termine. Ciò che ha spinto a riunirci è invero un’affinità nelle nostre rispettive esperienze culturali che si può definire anarco-comunista. Una delle prime azioni del gruppo, il ferimento di Mammoli, il medico assassino dell’anarchico Serantini, ha tutto il sapore di un risarcimento, del saldo di un vecchio contro che pesava sulla coscienza degli anarchici come pesò l’assassinio di Pinelli. Ha il sapore della testimonianza di una presenza anarchica allo scontro in atto. Ma non si tratta solo di questo, anche se contribuire in qualunque maniera allo scontro è oggi un imperativo categorico, per tutti. L’urgenza di una presenza anarco-comunista nasceva dalle riflessioni sulla storia recente del maggio francese del ’68, sia della ripresa del movimento rivoluzionario in Italia quest’anno. La nostra attenzione si appuntava soprattutto sui caratteri nuovi di questo movimento che accentuava una linea di tendenza antiautoritaria, del resto già presente, sino ai limiti di una rottura col passato. Il nuovo movimento non solo rifiuta quel mostro storico che è il marxismo sovietico e quell’ibrido insipido che è il marxismo italiano, pullulante di personaggi untuosi e melliflui, servi gesuiti di ogni potere, produttori di appelli inascoltabili (l’ultimo quello di Bobbio e soci, per la costituzione di una specie di SdS per la Resistenza contro il terrorismo, ha addirittura del grottesco), ma rifiuta anche il mito del proletariato industriale – classe rivoluzionaria, un mito che ha messo in un vicolo cieco il movimento dal ’68 ad oggi e ha costituito l’alibi principe di tutto l’opportunismo extraparlamentare, prova ne sia il fatto che i gruppi i quali hanno cercato di riflettere più fedelmente la “centralità” operaia sono stati risucchiati dal riformismo, prova ne sia lo spazio che il PCI dà oggi al gruppo trontiano dell’intero partito, una classica azione di recupero diretta verso l’esterno del partito. La liberazione di questo mito ha sprigionato e sprigionerà energie di cui il movimento del ’77 è soltanto l’annuncio.
Almeno tre aspetti vanno poi sottolineati:
1) Il movimento intuisce che nonostante si parli da più di un secolo della scienza marxista, della critica scientifica della società del capitale, il pensiero critico ha fatto ben pochi passi avanti ed ha avuto anzi un ruolo regressivo e repressivo nella coscienza delle masse, facendola aderire totalmente alla società del capitale. Le contraddizioni del capitale e del suo sviluppo, su cui faceva perso la critica “scientifica” sono state assorbite e, insieme ad esse, anche la maggiore delle contraddizioni, quella fra lavoro e capitale. Dopo un secolo di impantanamento nelle contraddizioni oggettive del mondo delle merci, il movimento comincia a interrogarsi sulla necessità di instaurare una critica non delle classi ma degli individui, dei protagonisti in carne ed ossa e non dei fantasmi concettuali. Il movimento rivoluzionario sa di essere l’unica contraddizione del sistema capitalistico perché esprime ciò che di umano non è stato ancora represso nel processo di disumanizzazione, spersonalizzazione e massificazione.
2) Il movimento non rinvia lo scontro alle classi, ma lo assume in prima persona. L’azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i riscontri soggettivi sono fondamentali. L’azione diretta rende gli individui consci di se stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e riprendere il controllo della propria vita.
3) Il movimento ormai riconosce l’inadeguatezza del vecchio progetto socialista, nelle sue varie versioni. Tutte le istituzioni e i valori della società gerarchica hanno esaurito le loro “funzioni”. Non c’è alcuna ragione sociale per la proprietà e le classi, per la monogamia e lo stato. Queste istituzioni e valori, insieme con la città, la scuola, ecc, hanno raggiunto i loro limiti storici. E’ tutto l’universo sociale che è nel “tunnel” della crisi e non solo in Italia. Qui alcuni aspetti sono più acuti che altrove: qui la difesa della proprietà sta assumendo proporzioni catastrofiche e costituisce ormai l’unica risposta del potere alla disoccupazione. Ma proprio nella misura in cui la crisi ormai investe tutti i campi contaminati dal dominio, tanto più si evidenziano gli aspetti reazionari del progetto socialista sia maoista sia trotzkysta sia stalinista che conserva i concetti di gerarchia, di autorità e di stato come parte del futuro post-sivoluzionario e per conseguenza anche i concetti di proprietà “nazionalizzata” e di classe “dittatura proletaria”.
Fino a poco tempo fa i tentativi di risolvere le contraddizioni create nell’urbanizzazione, dalla centralizzazione, allo sviluppo burocratico, erano visti come una vana controtendenza al progresso – una controtendenza che poteva essere respinta come chimerica e reazionaria. Quanti parlavano di una società decentralizzata e di una comunità umanistica in armonia con la natura e coi bisogni degli individui erano tacciati di romanticismo reazionario. Anche nella recente campagna di stampa televisiva contro Azione Rivoluzionari i pennivendoli del regime hanno rispolverato tutto questo apparato critico, sicuramente lette in qualche manuale dell’attivista delle edizioni Rinascita. Diverso il giudizio del movimento, soprattutto dei giovani. Il loro amore della natura è una reazione contro le qualità altamente artificiali del nostro ambiente urbano e dei suoi frusti prodotti. La loro informalità nel vestire e nel comportarsi è una reazione contro la natura standardizzata e formalizzata della moderna vita istituzionalizzata. La loro predisposizione all’azione diretta è una reazione contro la burocratizzazione e la centralizzazione della società. La loro tendenza ad evitare la fatica, il loro diritto alla pigrizia, riflette una rabbia crescente verso l’insensata routine industriale alimentata nella moderna produzione di massa nella fabbrica, negli uffici, nelle scuole. Il loro intenso individualismo, infine, è una decentralizzazione di fatto della vita sociale – una ritirata personale dalla società di massa. Il movimento sa che i concetti “romantici” o se preferite anarchici di una comunità equilibrata, di una democrazia diretta, di una tecnologia umanistica e di una società decentralizzata non sono soltanto concetti desiderabili ma sono anche necessari, costituiscono le precondizioni oggi della sopravvivenza umana, sono concetti “pratici”. Si prenda il caso dei problemi energetici. La rivoluzione industriale ha accresciuto la quantità di energia usata dell’uomo. Anche se è certamente vero che le società preindustriali poggiavano principalmente sulla forza animale e umana, è innegabile in molte regioni europee lo sviluppo di sistemi di energia più complessi, comportati da un’integrazione di risorse come la forza dell’acqua e del vento e una larga varietà di combustibili. La rivoluzione industriale ha schiacciato e distrutto questi modelli reginali di energia, rimpiazzandoli prima col carbone e poi col petrolio. Come modelli integrati di energia le regioni sono scomparse e non è il caso di ricordare questa rottura nella devastazione di intere regioni e infine nella prospettiva di un esaurimento. Si è posti di fronte ad una scelta: da una parte i collettori solari, le turbine a vento e le risorse idroelettriche, se prese singolarmente, non forniscono una soluzione ai nostri problemi energetici, messe insieme come mosaico, come un modello organico di energia sviluppato dalle potenzialità di una regione potrebbero soddisfare i bisogni di una società “decentralizzata” e ridurre al minimo l’uso dei combustibili dannosi; dall’altra parte un sistema di energia basato su materiali radioattivi che porterà a una diffusa contaminazione dell’ambiente, dapprima in forma sottile, poi su scala massiccia e tangibilmente distruttiva, con l’aggiunta di un’iniezione ulteriore di concentrazione e terrore nel tessuto sociale. Le forze della distruzione e della morte si sono subito schierate per quest’ultima soluzione, i berlingueriani le hanno seguite a ruota, anzi, in certi casi hanno fatto da portabandiera (a Genova, per la difesa dei livelli “occupazionali” i tecnici del PCI sognano un Ansaldo che nuclearizzi tutto il pianeta, una specie di follia omicida che ha costretto i compagni delle BR a rinchiuderne qualcuno all’ospedale, in osservazione). Tacciando di “romanticismo” il movimento possente che si è sviluppato negli USA, in Germania e ultimamente anche in Italia contro le basi nucleari, i berlingueriani pensano di farla da realisti, in realtà si limitano a far cena dovunque caca il capitale. Se le idee critiche emergenti dal movimento non hanno ancora assunto la forma di progetto alternativo e costruttivo, le ragioni sono varie; innanzi tutto il movimento non si è ancora liberato dalle ideologie del passato ma è in via di liberazione, in secondo luogo dopo un secolo di “realismo socialista” l’avventurarsi nel regno del possibile è un’impresa psicologicamente ardua, in terzo luogo la perversione delle forze produttive è giunta a un tal punto che la “ricostruzione” appare un’opera immane: la distruzione dell’ambiente naturale e sociale operata dal capitalismo è così profonda da ingenerare quasi rassegnazione come di fronte a un processo irreversibile; ma c’è soprattutto una ragione politica: le forze del passato sono bene organizzate e specializzate nell’arte della morte – i lager tedeschi fumano ancora. D’altra parte vi sono ragioni altrettanto decisive per la nascita di questo progetto: se il movimento non saprà proporre a tutto il resto della società il suo progetto per uscire dalla crisi generale ne sarà travolto anch’esso o, il che è lo stesso, le sue idee finiranno coll’essere pervertite lunga canali putridi (basti pensare alla perversione della spinta sessantottesca nei “consigli” fasulli di quartiere, di fabbrica, di scuola ecc., il che, a dire il vero, dimostra che i berlingueriani fanno cena anche dove cachiamo noi). Certamente il nostro metodo di elaborazione non dovrà essere quello dei berlingueriani che hanno affidato il loro progetto a medio termine a quattro o cinque “intellettuali superorganici” e l’hanno fatto poi stendere da quel genio leonardesco che è Achille Occhetto, col risultato che ora se ne vergognano e lo fanno leggere solo al vescovo di Ivrea. La presenza critica, costruttiva, utopistica è una condizione necessaria ma non sufficiente, una tale presenza oggi non può diventare egemone se parallelamente ad essa non si sviluppa una presenza critica, negativa, distruttiva dei processi in corso. La critica distruttiva, la critica delle armi è l’unica forza oggi che può rendere credibile e attendibile qualsiasi progetto. Di fronte, il movimento non ha degli interlocutori ma le forze della distruzione e della morte, e quanto più è profonda la crisi economica, sociale, politica e morale tanto più le forze del passato si uniscono nella stretta finale. Lo Stato, per queste forze, è l’ultima spiaggia; il processo di concentrazione deve essere ormai esteso anche alle idee: la classe dei rinnegati, integrandosi, non può lasciare spazi all’opposizione. Checchè ne dicano o ne strillino gli occhettiani nostrani (hanno fatto il vuoto attorno a Bologna, inorriditi dalla “primitività” delle analisi d’oltralpe) in Italia come in Germania è in atto la formazione di maxipartiti o partiti di regime dove “pluralismo” è il classico termine orwelliano per indicare la persistenza di bande che vogliono accaparrarsi o conservare TUTTA la gestione di QUESTO sistema. Le forze sociali e politiche sempre più autonomizzate dalle masse e sempre più dipendenti dallo Stato non hanno altra arma che il “consenso” forzato, imposto col terrore per arginare in qualche maniera l’antagonismo crescente. L’originalità della situazione italiana, rispetto a quella tedesca, ad esempio, è l’ampiezza di questo fronte interno, l’esistenza di un movimento che non isola la guerriglia ma ha anzi un effetto moltiplicatore della sua diffusione. Azione Rivoluzionari è nata con un occhio rivolto all’esperienza della Raf e alle sue analisi dei processi in corso nella Germania Federale e con l’altro ai caratteri e alle forze del movimento in Italia che non trovano espressione armata nelle organizzazioni che attualmente conducono la guerriglia. E’ una coalizione di forze statutali che va battuta, non una singola forza: le pistolettate contro Ferrero non erano rivolte contro un agente attivo della controguerriglia psicologica, uno dei tanti, ma contro questa coalizione e contro questa campagna di menzogne, calunnie e delazioni con cui si tenta di isolare moralmente e politicamente il movimento, una campagna avviata proprio dal PCI a Bologna e Roma, a sostegno aperto e copertura dei servizi di sicurezza. Lasciare libertà di azione a una delle forze della coalizione significa far funzionare questa nel suo meccanismo essenziale, copertura a sinistra del terrorismo di Stato e azione di recupero delle forze sociali esterne, schiacciate dalla concertazione, una volta private della loro espressione politica. L’opera dei servizi di sicurezza e di Pecchioli per eliminare fisicamente la guerriglia fa tutt’uno con gli appelli di Trombadori e soci per togliere qualsiasi identità politica ai guerriglieri, insieme costoro preparano il terreno ai recuperatori, alle leghe gialle dei disoccupati, al nuovo movimento universitario di Occhetto, alle serenate ai non garantiti di Asor Rosa. Aguzzini e recuperatori svolgono compiti distinti di un progetto comune, di cui si vedono già le sembianze nei supercarceri in costruzione. Non a caso l’eco enorme suscitato dalle pistolettate a Ferrero ha spento l’eco degli attentati al carcere di Livorno e al supercarcere di Firenze. La nuova coalizione si guarda bene ad ostentare, a ludibrio del terrorismo, i gravi danni subiti da un supercarcere: non è ancora giunto il momento di mostrare in pubblico (se verrà mai) le uniche creazioni del compromesso storico: i lager dove potrà assassinare in silenzio i suoi nemici, come il Germania; per il momento si limita ad ostentare le gambe ferite di un suo pennivendolo. Rifiutare quello che abbiamo definito il mito del proletariato industriale – classe rivoluzionaria non significa non condividere le azioni volte ad alleggerire la pressione che il capitale esercita sui lavoratori per conservare il proprio dominio; le azioni volte a punire i disciplinatori o a indebolire l’accumulazione sono fondamentali per permettere alle minoranze rivoluzionarie presenti in fabbrica di prendersi la loro libertà di azione, l’essenziale è che ciò non costituisca un ennesimo tributo al mito e un pericoloso condizionamento al punto di vista “operaio”, col risultato di far funzionare il meccanismo essenziale della coalizione. A quanti arricciano il naso (e sono molti nel movimento anarchico) di fronte alla costruzione di un gruppo clandestino, noi rispondiamo che i pericoli di centralizzazione, burocratizzazione e alienazione storicamente si sono rivelati più consistenti nelle organizzazioni “legali” dove addirittura questi pericoli sono divenuti una solida realtà. A quanti coltivano ancora illusioni non violente, se le nostre argomentazioni non sono state sufficienti, chiarezza sempre maggiore verrà dallo Stato e dal suo apparato terroristico. Per quanto ancora in formazione, le nostre idee organizzative tendono verso un modello noto nel movimento rivoluzionario, sperimentato in Spagna negli anni ’30 e adombrato nei “collettivi” e nelle “comuni” dei radicali americani: pensiamo a gruppi di affinità dove i legami tradizionali sono rimpiazzati da rapporti profondamente simpatetici, contraddistinti da un massimo di intimità, conoscenza, fiducia reciproca fra i loro membri. Sia che nascano su basi locali, dall’incontro sperimentato e collaudato di varie storie personali, o su basi diverse, i gruppi devono essere mantenuti necessariamente piccoli, sia per permettere quelle caratteristiche sia per garantirsi contro le infiltrazioni. Il gruppo di affinità tende da una parte ad eliminare fra i compagni rapporti di pura efficienza, dall’altro ad attenuare la divisione schizofrenica fra privato e collettivo, una dimensione che è alla base, oltre che delle continue incertezze e degli abbandoni, anche dell’opportunismo e della non trasparenza nei rapporti fra i compagni.
Gennaio 1978
___________________________________________________
fonte: http://ita.anarchopedia.org/azione-rivoluzionaria
Posted in azione rivoluzionaria, informalità
Tagged azione rivoluzionaria, gruppi d'azione, informalità
Comments Off on Il primo documento teorico di Azione Rivoluzionaria