Conspiración Ácrata – Una conversazione con il collettivo editoriale di Infierno

Una cosa è avere delle armi, ben altra è essere un gruppo armato…

Infierno” è una pubblicazione anarchica per il desmadre (sfrenatezza) e la rivolta realizzata da compagni affini di Barcellona, in Catalogna, giunta al suo 5° numero.

Dopo aver stabilito un contatto con essi, abbiamo preso l’iniziativa di sottoporli ad un breve questionario teso a contribuire all’attuale dibattito del quale abbiamo parlato nel precedente numero di Conspiración Ácrata, ma anche con il fine di conoscere meglio com’è la scena anarchica a Barcellona, nello specifico quella insurrezionale o anarchica d’azione, piuttosto contraria all’anarchismo che lotta per la legalità, la permissività, l’organizzazione centralista, ecc.; anche perché ultimamente si sono verificate e/o comunicate alcune azioni in quella parte del mondo. Un’altra finalità è quella di contribuire alla diffusione di pubblicazioni affini alle prospettive insurrezionali.

Le risposte dei compagni contribuiscono all’attuale -e doveroso- dibattito all’interno delle nostre questioni. La loro critica relativa allo scenario messicano visto dal di fuori, che tanto ci interessava conoscere, ci ha fatto tanto riflettere così come le posizioni sulla lotta armata, l’organizzazione informale e la questione delle sigle.

Ringraziamo i compagni per essersi presi il tempo da condividere con noi e con i lettori di CA. i loro pensieri, prospettive e per averci fatto conoscere il panorama della lotta a Barcellona.

1.- In primo luogo e per avere un panorama più esteso: potreste dirci come e perché è nata la pubblicazione “Infierno”? ¿Cosa vi ha motivato, quali gli stimoli per realizzare una pubblicazione affine alla distruzione ed al caos? Perché avete scelto questo nome per il giornale?

Bene, la pubblicazione nasce in un contesto molto particolare. Concretamente, nei primi giorni delle mobilitazioni cittadine note col nome di 15-M. In quei giorni e poco prima delle elezioni municipali (si votava per il governo della città) la piazza principale di Barcellona veniva occupata da migliaia di persone e c’è parso un buon momento per editare una pubblicazione prettamente anarchica e che fosse qualcosa di diverso dai tipici slogan che si appellano al sociale ed alla costruzione di una società diversa, cose che proliferano in casi del genere.

Era una buona occasione per far avvicinare molta gente a quest’idea. Gente, scontenta della propria esistenza, che di colpo incominciava a parlare di politica ed a relazionarsi con quella piazza in maniera diversa. Si discutevano idee (che venivano da precedenti pratiche) relative al fatto che l’esistente non può esser riformato e che, a nostro avviso, era prioritaria la distruzione del sistema in cui viviamo anche con la violenza, se necessaria (e purtroppo lo è).

Si trattava di metter per iscritto l’idea che è imprescindibile la rottura della normalità, della pace sociale e della mentalità cittadinista e democratica. Certo, non ci siamo riusciti, ma almeno nei primi giorni ci strappavano il giornale dalle mani e ci sono state delle discussioni molto interessanti. Quel che in seguito è accaduto con tale movimento è notorio: s’è trasformato (se non lo era già agli inizi) in una deprecabile espressione cittadinista, in difesa del welfare, guidata da universitari piccolo-borghesi e da sette trotzkiste, ma è anche vero che in quelle giornate ed al calore delle discussioni sono scaturiti per la gran parte i nuovi gruppi anarchici che oggi si muovono per la città e la nostra stessa pubblicazione.

Il nome, come spiegato nel primo editoriale, è un piccolo omaggio al comitato “esecutivo” (quello che effettuava le azioni) del gruppo anarco-nichilista russo del finire del XIX secolo: Zemlya i volya.

2.- All’interno dell’anarchismo vi sono diverse tendenze, alcune di esse puntano alla coazione di conflitti immediati ed in qualche maniera condannano i suoi seguaci all’attesa, scegliendo il centralismo tra le altre cose. Questa tendenza la qualifichiamo come “permissiva”.

L’altra idea, quella che punta alla distruzione dello Stato/Capitale presenta delle diversità al suo interno. Alcune tendenze insurrezionali puntano al sociale, ed in tante occasioni hanno messo da parte le proprie prospettive per adottare quelle “sociali”. Altre ancora: la tendenza -per dirla in qualche maniera- “insurrezionale classica” che viene dalla linea teorizzata da Alfredo Bonanno e, inoltre, una altra prospettiva è data dalla tendenza anarchica informale, all’interno della quale si trovano la gran parte dei gruppi d’azione insurrezionale anarchica, come la FAI-informale, gruppi ed individualità di liberazione animale, gruppi e individualità anticivilizzazione e persino dei nichilisti rivoluzionari. Questa tendenza punta all’immediata distruzione dello Stato/Capitale con tutti i mezzi alla sua portata, inclusi i pacchi bomba e l’uso di armi ed esplosivi da usare come offensiva diretta e non solo come mera “autodifesa”. In questa tendenza c’è un dibattito che è doveroso, anche quando alcuni “gruppi” cerchino di farlo sotto forma di attacco screditando gli sforzi che blog e gruppi d’azione realizzano. Questo dibattito ruota attorno all’organizzazione anarchica informale. La questione in cui confluiscono tutte queste prospettive è che l’informalità è l’unica forma -attualmente- accettabile per le prospettive anarchiche, sia per la strategia che per i principi. Qual è l’opinione di Infierno sull’Organizzazione Anarchica Informale o meglio sull’informalità anarchica?

Per la pubblicazione, anche se si pone una grande enfasi nelle idee e nelle pratiche insurrezionali, il tema dell’organizzazione o, meglio, della dicotomia tra organizzazione formale o informale non ha molto senso. Per noi, entrambe le forme organizzative hanno cose interessanti e cose da scartare. Dipende da quel che vuoi fare, per cosa e soprattutto con quanta gente dovrai organizzarti nella maniera più appropriata. La questione non ci preoccupa affatto, quel che ci preoccupa è il tema della uniformità e della creazione di possibili burocrazie nelle organizzazioni.

Questo è un tema più evidente nelle organizzazioni formali, ma è anche presente (l’abbiamo visto) in quelle informali, visto che la burocrazia e il decisionismo (cercare un consenso o dover trovare delle decisioni comuni) sono anche una mentalità. Non c’è bisogno di avere incarichi, documentazione interna, fogli intestati e timbrati per avere burocrazia o leaderismo. Per noi, l’organizzazione informale è un qualcosa di naturale, spontaneo tra persone con grande affinità o amicizia (i gruppi di strada, i gruppetti di ragazzini che si uniscono in 3 o 4 nei quartieri ne sono un buon esempio, pur con tutte le differenze) ed è molto importante perché toglie la sacralità all’assemblea ed al momento “liturgico” della presa delle decisioni come momento e spazio fondamentale; mentre uno può prendere delle decisioni o preparare cose, azioni, pubblicazioni, ecc. sorseggiando una bevanda, camminando o giocando a calcio.

Ma questo ha dei limiti, anche se è funzionale per la sicurezza. L’organizzazione formale ha sicuramente dei gravi limiti, ma dipende. Se si eliminassero degli aspetti della formalità (come il fatto di prendere delle decisioni all’unanimità, avere delle sigle e usarle sempre, avere dei comitati, ecc… ) allora potrebbe essere interessante, apporta ad un miglior livello di organizzazione maggiormente accettabile da un gran numero di persone.

Per noi, il piccolo gruppo d’affinità è come la base di qualsiasi esperienza organizzativa. Tuttavia, vi sono dei casi in cui il tutto non si può fermare lì e bisogna estendere il circolo; ed è proprio in questi casi che la “classica” organizzazione informale ha i suoi seri limiti. In tal senso noi ci rifacciamo all’organizzazione dei primi gruppi nichilisti che, essendo federati, erano totalmente autonomi nel momento dell’azione, o alle modalità adottate dalla CCF della prima fase (eccetto le sigle ed il culto della propria organizzazione con i riferimenti costanti e gli evviva al proprio collettivo).

Naturalmente non chiudiamo qui il discorso sul modello organizzativo, ricordiamo che ci sono altre forme parallele e compatibili (come la FAI informale -uso delle sigle a parte-, o il Grupo Primero de Mayo nella Spagna degli anni ’60, embrione di questo tipo di ‘organizzazioni’ che più tardi diede vita alla Angry Brigade).

Non ci sembra negativo che delle persone che si avvicinano al mondo della lotta anarchica e che vogliono assumere funzioni pubbliche scelgano una organizzazione formale, sempre che questa sia depurata dagli elementi nocivi che abbiamo elencato.

3.- Noi sosteniamo ed abbiamo sempre sostenuto che la comunicazione tra affini è necessaria, ancor più quando tra i diversi gruppi -per una ragione strategica- non ci si conosce. Crediamo sia necessario comunicare le azioni, perché esse non parlano da sole. Ma dipende da ciascun gruppo o individualità e dalle idee la determinazione di quanto funzionali siano questi comunicati. Qual è la prospettiva di Infierno sulla diffusione di comunicati, credete sia producente, che soddisfi gli obiettivi -diciamo- generali dell’anarchismo, o che corrisponda solo ai bisogni di ciascun gruppo o individualità?

Infierno pensa che ci siano due tipi di “comunicati”. Uno è quello che in maniera schietta annuncia che s’è effettuata tale o talaltra azione, in modo che sia diffusa. E lo consideriamo positivo, in linea di massima, perché incoraggia la gente ad agire, invia forza quando simili azioni sono solidali (es. ci si sente protetti nel sapere che ci sono persone che la pensano più o meno come te) e diffonde il messaggio che stanno accadendo delle cose, a maggior ragione quando spesso il potere cerca di occultarle per evitarne la probabile propagazione.

Un altro tipo di comunicato è quello che si mette a fornire tutta una serie di spiegazioni, analisi di congiuntura (o persino di struttura) e cerca di far capire l’azione che vuole comunicare. Questo secondo tipo di comunicati lo vediamo negativo e controproducente per diversi aspetti: innanzitutto per la quantità di informazioni che offre (e qui vorremmo soffermarci un attimo a ricordare che è stato proprio questo uno dei motivi della caduta di molte persone nel corso della nostra storia, come nel caso di Ted Kaczinsky); eppoi perché pensiamo che l’azione debba spiegarsi da sola, in caso contrario si entra nel piano del simbolico e questo è un terreno sdrucciolevole e pericoloso. Ci spieghiamo: le persone si muovono, purtroppo e spesso, per simboli. Il potere ha i suoi simboli ed anche noi, rivoluzionari ed insorti, che lo vogliamo o meno abbiamo i nostri. E’ interessante per la guerra sociale abbatterne alcuni ed erigerne altri (entro certi limiti perché non bisognerà riprodurre quel che si vuole distruggere). Ma anche il simbolico, l’interpretabile (indipendentemente dal fatto che tutto in questa vita è interpretabile) è qualcosa che si recupera facilmente e che può esser incorporato dal potere nella sua maledetta società dello spettacolo e divenire un surrogato di quel che è.

Che in Germania i pischelli indossino magliette della RAF o che in Spagna membri del menzionato movimento 15-M, che si proclamano pacifisti, abbiano delle maschere di Guy Fawkes (il personaggio storico recuperato dal protagonista di V per Vendetta che si vendicava e lottava contro lo stato con assassinii ed attentati) sono solo una piccola dimostrazione dello sproposito in cui viviamo. Entrare nel mondo del simbolico è complesso perché significa entrare in un mondo che ci può condurre al recupero, al terreno dell’intellettualismo, della spettacolarità e del vuoto dei contenuti.

Dar fuoco ad una banca (indipendentemente dal fatto che sia efficace o meno nella lotta contro il sistema) è un’azione che parla da sé, così come attaccare una volante. Non c’è bisogno di parlarne in un comunicato di 12 pagine (spesso con linguaggio magniloquente e militarista). Distruggere una macelleria, per esempio, non si spiega da sé (per la liberazione animale? Per l’adulterazione della carne? Per un motivo religioso o lavorativo? Contro la società del consumo? Anticivilizzazione o solo per il diritto animale?). Ed allora bisogna spiegarlo, motivarlo e, a meno che la lotta degli autori dell’attacco sia esclusivamente animalista, porlo in relazione al contesto della lotta e lì si fornisce informazione e si entra nel simbolico. L’attacco, a nostro avviso, deve inviare un chiaro messaggio ed esprimere un’idea, che dev’essere integrata con la propaganda, anche se la stessa azione è propaganda.

4.- Allo stesso modo che per i comunicati, potremmo dire che la discussione è ancor più tesa sul ricorso alle sigle per firmare i comunicati. Alcuni compagni sostengono che l’utilizzo delle sigle non sia legalmente strategico nel caso di eventuali arresti, perché se rivendichi un’azione con un nome già usato per un’altra, possono accollarti entrambe le azioni. Si tratta di una tesi che non condividiamo, perché pensiamo che questo dibattito debba partire dalle idee e non dalle limitazioni giuridiche del potere. Ma ci sono altri compagni che sostengono che si può cadere in possibili avanguardismi o centralismi. Altri ancora vedono che il “gruppo unico” con un nome “unico” sia una maniera di accettare la totale responsabilità delle azioni, evitando così di cadere in posizioni di avanguardia. Quale la vostra lettura sulle sigle, quale potrebbe essere il vostro contributo in questa discussione?

La strategia legale può essere irrilevante a seconda dei paesi, anche se in alcuni è importante prenderla in considerazione In Spagna, per esempio, ti possono applicare la legge antiterrorista per aver firmato diversi attacchi di una certa levatura con lo stesso nome, e stiamo parlando di una delle leggi più dure d’Europa che contempla la tortura ed altro ancora.

Non è che legalmente sia molto diversa dalle altre, ma il fatto che qui sia stata attiva per oltre 50 anni una banda armata (ETA) con più di un migliaio di morti alle spalle fa sì che quasi nessuno abbia qualcosa da ridire contro tale legge e che ci si stringa a suo favore (cosa che non accade in altri stati europei). Ma avviene anche che possono arrestare qualcuno, renderlo responsabile di qualsiasi attacco (poco importa se li abbia commessi) e “fabbricargli” un’organizzazione terrorista.

Quel che noi critichiamo è l’uso “indiscriminato” delle sigle, per qualsiasi fine. Per molto tempo, qui, ha provocato un forte ripudio in un importante settore dell’anarchismo l’organizzazione anarcosindacalista CNT-AIT, sia per una serie di sfortunate pratiche (indipendentemente dalla nostra opinione sull’anarcosindacalismo) che per il suo abuso nella auto-referenzialità e l’uso delle sigle. Si era giunti ad un punto che sembrava si dovesse ringraziarli di esistere, perché tutto quel che di buono c’era nel mondo era per opera e grazia loro e noi, poveri mortali, eravamo quelli che non erano stati toccati dalla sua maestosa luce.

Adesso accade, spesso e pur se non è questa l’intenzione dei compagni, che leggiamo i comunicati della CCF ed anche se sottoscriviamo quasi completamente la parte “ideologica” e anche se concordiamo con l’azione effettuata, di provare la stessa sensazione. Ossia, sembra che ci siano da un lato dei protagonisti della lotta che si battono contro il nemico (con le armi o con altri mezzi) e dall’altra una serie di spettatori che stanno solo a guardare. E non si ha lo stesso rilievo quando si realizza un’azione anonima (quale che essa sia) rispetto alla firma di alcune organizzazioni. Così accade che, spesso, delle cose che non sono affatto una novità perché già sostenute da altri compagni nel passato, ma senza ripercussioni, adesso sono sostenute da compagni che per coraggio e impegno hanno acquisito prestigio. Quelle stesse cose riprese da questi ultimi compagni capovolgono la situazione: se tu adesso non le sostieni passi per essere un povero infelice. E questa dinamica non si può accettare, perché così si creano delle avanguardie, anche se non c’è l’intenzione di farlo, all’interno del mondo anarchico. Si creano degli status e delle gerarchie. E questa cosa è responsabilità di tutti noi, non solo di chi firma in maniera permanente con alcune sigle.

5.- Alcuni gruppi, cellule e nuclei d’azione sia in Messico che in Grecia sono inquadrabili all’interno della logica della “guerriglia urbana”. Anche se sappiamo che il primo manuale di guerriglia urbana è stato elaborato da un anarchico esiliato in Uruguay, attualmente e sotto la prospettiva informale noi ne siamo contrari per diverse ragioni. E’ più che evidente che noi anarchici, allorquando dobbiamo attaccare lo Stato, dobbiamo stare alla larga dal ricorso ad un linguaggio introdotto niente meno che dalle Guerriglie degli anni ’70, che operavano sotto la logica marxista-leninista. Ed al contempo dobbiamo stare alla larga dal cadere in autoritarismi con cariche e gerarchie militari o specializzazioni.

Bisogna anche dire che in molte occasioni i gruppi prendono dalla guerriglia solo alcune questioni strategiche, ben sapendo che si tratta solo di questo, una ulteriore strategia e non un fine in sé. Il fine in sé è l’azione che si concretizza, ma i mezzi utilizzati sono solo un mezzo, evitando di cadere nel “culto del fucile”. Per noi anarchici si tratta di una questione di idee e di strategia.

Voi che lettura avete della tradizionale guerriglia urbana e del suo utilizzo come forma di combattimento contro lo Stato/Capitale? Credete sia necessario restare su tale linea o che bisogna prendere solo ciò che è strettamente utile per l’operatività o che, al contrario, bisogna scartarla completamente? Cosa potete dirci in merito?

Noi anarchici dobbiamo scontrarci con il potere attraverso le parole e le azioni. Le azioni possono (a volte devono o dovrebbero, per sfortuna) includere l’uso delle armi. Parliamo delle armi da fuoco. Per farlo un anarchico dovrebbe esser preparato; così come deve essere preparato per fare un manifesto, parlare in pubblico, fare barricate, ecc… Di qui ad avere una guerriglia permanente ce ne passa. Una cosa è avere delle armi, ben altra è esser un gruppo armato. Non sono la stessa cosa.

Sappiamo che una cosa può condurre all’altra, perché ci sono dei viaggi di sola andata e se delle persone intraprendono un determinato percorso non c’è la possibilità di ritorno e si giunge a prendere delle decisioni guidate non dal desiderio dei protagonisti, ma da “ragioni di stato” (quando, cioè, non c’è più rimedio). Comunque sia, c’è una grande differenza tra tutto ciò e l’ideazione, in anticipo, di un gruppo che si dedichi esclusivamente a dei conflitti armati. Noi non critichiamo l’azione armata o l’uso delle armi per certi fini, ma il percorso col quale si può giungere a farlo.

6.- Passando ad altre questioni. Abbiamo visto negli strumenti di controinformazione e nelle televisioni mainstream che negli ultimi mesi ci sono state alcune mobilitazioni, con disordini, a Barcellona più che altro in un ambito “sociale”. Concretamente, c’è stato qualche intervento anarchico in queste mobilizzazioni ed, in caso affermativo, in che modo lo scenario anarchico o i nuclei insurrezionali anarchici di Barcellona hanno effettuato questo intervento?

In primo luogo c’è da dire che a Barcellona a malapena restano dei “nuclei insurrezionali”. E’ un cosa del passato. Quel che è certo è che c’è una certa quantità di nuovi anarchici, che son da poco nella lotta, molti dei quali s’avvicinano abbastanza a dei nuclei insurrezionali, ma essi stessi sono piuttosto “sociali”. La sfera dell’anarchismo “antisociale” (considerabile tale, come è giunta ad essere con una serie di impostazioni in Messico o in Cile, per esempio) è enormemente ridotta. Attualmente, la gran parte degli anarchici in città sceglie di farsi coinvolgere in lotte più “sociali” e di inserirsi in spazi come le assemblee di quartiere, con un coordinamento ideologico più eterogeneo (sempre all’interno di un certo orientamento libertario, per esempio nessuno farà qualcosa con un marxista-leninista). Questo accade in particolare dopo la comparsa del 15-M. Molti partecipano in queste lotte per diversi motivi come: la costruzione di legami con gente tradizionalmente radicalizzata ma lontana dall’anarchismo (e non necessariamente autoritaria), la radicalizzazione di conflitti esistenti o semplicemente per approfittare di una tensione latente per spezzare la pace sociale, un momento idoneo in cui con le azioni si rende la propaganda più efficace dal nostro punto di vista (questa è la nostra posizione, condivisa con tanti altri compagni).

Il fatto è che, tradizionalmente e senza che nessuno vi trovi una spiegazione plausibile, ogni mobilitazione politica (specie se tratta tematiche lavorative o abitative) di una certa levatura termina a Barcellona o in disordini o in una vera e propria battaglia campale che coinvolge migliaia di persone (molte non anarchiche e nemmeno politicizzate). E ogni battaglia campale è sempre più distruttiva, terribile e caotica rispetto alla precedente e sono tante le persone che plaudono a tutto ciò. Ovviamente, il tutto all’interno di un contesto catalano-spagnolo, non si tratta affatto della Grecia, né di Oaxaca, né tanto meno della Libia.

Da segnalare che qui, e non sappiamo se accade lo stesso in altri luoghi, gli anarchici “sociali” si trovano non solo in prima linea in queste lotte, ma le preparano anche; inoltre, nessun compagno si permette (eccezion fatta per alcuni non-compagni che militano in organizzazioni riformiste come la pseudo anarco-sindacalista CGT) di dire ad un altro che non si devono fare azioni o provocare disordini, ecc. La differenza fondamentale è che gli anarchici “sociali” cercano di intervenire nelle lotte popolari all’interno delle stesse (in molti casi con un certo alone assistenzialista ed evangelizzatore, da parte di diversi tra questi compagni per dirlo in qualche maniera, sempre con rispetto e senza alcun intento di attaccarli), mentre gli “antisociali” (tra parentesi perché non ci sentiamo identificati al cento per cento con queste etichette) preferiscono intervenire dall’esterno, dando un esempio di lotta dal “di fuori” (anche qui, a volte con un certo alone evangelizzatore, diciamo la verità).

7.- Ci sono altre pubblicazioni affini alla tendenza insurrezionale anarchica a Barcellona?

Ce n’è una veramente nuova (a partire da questa estate) e si chiama Aversión che segue più una tendenza eco-anarchica insurrezionale, con diverso spazio per la lotta anti-repressione. Non ci risulta che ce ne siano altre in città.

8.- Attraverso pubblicazioni, video ed incontri con compagni, o dai mezzi informativi, abbiamo saputo che a Barcellona c’è sempre stata una continuità di azione ed intervento anarchico -a livello pubblico o anonimo-, alcune di tali azioni sono state rivendicate nel passato come per esempio un attacco contro il consolato della Danimarca, in solidarietà con l’ex-casa occupata Hungsoms Huset (2007), attacchi contro filiali del BBVA-Bancomer in solidarietà con le rivolte di Oaxaca (2006), ma ve ne sono state altre che non sono state rivendicate in quanto tali ma sono state rese pubbliche in qualche maniera. Ad esempio, le azioni incendiarie contro lo sgombero di centri sociali, attacchi contro bancomat e banche, attacchi contro agenzie immobiliari, agenzie di lavoro temporaneo, con l’incollatura delle serrature di ditte complici dello sperimentazione animale, azioni anch’esse rivendicate, molto frequente è l’incendio dei contenitori della spazzatura per formare delle barricate spontanee, ed infine azioni solidali con i prigionieri. Inoltre, l’intervento di nuclei d’azione in alcune proteste che occasionalmente sfociano in disordini, come la protesta contro lo sgombero del Forat de la Vergonya in cui si elevò una barricata dalla quale è stata attaccata la polizia autonoma con petardoni e s’è anche attaccato il Macba (museo d’arte contemporanea) con bombe di vernice, tra le tante azioni. Sappiamo anche ci sono state razzie repressive, come quella perpetrata contro i 6 compagni arrestati nel 2005 e condotti alla Audiencia Nacional (Procura Nazionale) o gli arresti dei compagni Rubén e Ignaci “accusati” di aver attaccato una banca e una ditta della Generalitat (governo della comunità autonoma della Catalogna) che si dedica a sfruttare i prigionieri nelle carceri, o il caso noto come 4‐F.

Potete, quindi, darci una panoramica dell’azione e dell’intervento anarchico a Barcellona, così come dei colpi repressivi che avete subito e affrontato. Quale il livello di repressione contro l’anarchismo? Ci sono gruppi speciali dediti al controllo, detenzione e disarticolazione dello scenario anarchico?*

Bene, sulla risposta rischiamo di addentrarci molto su alcune cose, ma cercheremo di essere brevi. Nel primo decennio del 2000 ci sono stati diversi gruppi che potremmo definire insurrezionali e che fino al 2006 (più o meno) hanno realizzato tante azioni del tipo di quelle che avete nominato.

In seguito, per via della repressione ed un cambio di indirizzo del modo d’agire antagonista in città, tendente ad un maggiore temporeggiamento col potere, alla critica di queste azioni ed a un certo riformismo che si riversava al sociale con un gran cattivo gusto, salvo eccezioni, questa cosa è cambiata. Solo un paio di anni fa sono riprese le azioni di questo genere, in maniera più estesa. Adesso, da quel che ci risulta, se ne stanno effettuando di meno, ma la ragione è da ricercare dall’aumento delle mobilitazioni sociali e popolari, ed ultimamente è frequente che queste terminano in disordini.

Quel che qui accade è che azioni del genere non sono esclusive dell’anarchismo. Settori di squatter, autonomi, marxisti eterodossi e perfino, tempo fa (adesso ne restano pochi), indipendentisti sono stati tradizionalmente propensi ad agire. Anche se bisogna aggiungere che veniamo da epoche di grande pacificazione e moderazione che solo adesso sembra stia per concludersi, proprio per la situazione sociale che vive il paese.

Quanto alla repressione, qui c’è stata un’epoca (tra il 1996 ed il 2004, in particolare) in cui abbiamo subito un forte indurimento della politica contro questi gruppi ed azioni. Quel periodo della vita di Barcellona è passato alla storia come “era Valdecasas” (Valdecasas era il nome della delegata del governo centrale della Catalogna), in cui i compagni venivano spediti all’audiencia nacional (con tutta la dose di torture) per qualsiasi cosa. Questo era comune in tutta la Spagna, ma è stato più duro nei Paesi Baschi (ovviamente) e qui. Di fatto, in alcuni luoghi come a Valencia delle persone sono state inviate alla audiencia nacional per aver incollato la serratura di alcune banche. Tutto ciò ha frenato abbastanza la lotta, soprattutto perché quasi tutti stavano o in carcere o con processi a carico o ancora sottoposti all’obbligo delle firme. In seguito, una bonaccia economica ha imborghesito sempre più la società ed un cambiamento di governo per uno di sinistra più permissivo hanno fatto il resto.

Adesso non ci sono casi così gravi come in quel periodo, ma la repressione tocca eccome le persone (specie gli anarchici e gli autonomi, mica fessi quelli del governo) coinvolte nella lotta sociale, con diversi imputati all’audiencia nacional (ma stavolta senza torture né accuse di terrorismo, perché non reggerebbero e perché si tratta di casi piuttosto mediatici). C’è il caso recentemente archiviato (quello del blocco del parlamento della catalogna della scorsa estate effettuato da oltre 5.000 persone e che è terminato due mesi più tardi con 20 compagni fermati dalla polizia incappucciata, andata a prenderli nelle loro case) e quello di un compagno anarchico (oltre a 2 pseudo-comunisti ed in indipendentista) in carcere per i disordini avvenuti durante l’ultimo sciopero, quello del 29 marzo. Attualmente le detenzioni non sono più nello stile di 10 anni fa, collegate al “terrorismo”, ma per “vandalismo teso a sovvertire una turbolenta massa sociale”.

Sull’ultima domanda, sì. Da 12 anni la Policía Nacional (qualcosa di simile alla Policía Federal in Messico) ha una sezione specifica che indaga e combatte l’anarchismo. La repressione, in linea generale, è stata affrontata male, con molte divisioni ed azioni non proficue, che hanno comportato maggior repressione per diverse ragioni. Ma stiamo apprendendo, poco a poco. Lo speriamo.

9.-Supponiamo che abbiate una conoscenza dello spettro anarchico insurrezionale -o anarchico d’azione- del Messico, delle azioni, gli espropri, di alcuni gruppi che si aggiudicano i loro attentati contro il potere, ed altri che preferiscono l’anonimato o la non rivendicazione, ecc. Qual è la visione che tutta questa gamma di azioni ha generato tra gli affini in quella parte del mediterraneo? Come viene valutato o criticato da uno dei paesi del mediterraneo dotato di una forte storia dell’anarchismo in tutti i suoi ambiti, incluso questo, e soprattutto da quello dell’azione?

Considerando che l’orbita ideologica all’interno dell’anarchismo si sta muovendo per altri sentieri e che in città c’è, generalmente, un certo eurocentrismo che rasenta l’irrispettoso, la nostra percezione è che tutta quella gamma di azioni e di lotte qui viene vissuta con una certa indifferenza (quando addirittura non se ne sa proprio nulla di quel che accade da voi). Di fatto, purtroppo, tra i pochi commenti in merito abbondano dei giudizi spregiativi, del tipo “ma quella gente è folle”, o la comprensione-paternalista “è che il Messico è un paese molto violento”, rispetto ad un vero interesse per questo argomento. E’ una merda, ma è così.

Se prendiamo in considerazione che tutto ciò è stato fortemente influenzato da una serie di discussioni e polemiche che ci son parse infantili (dal di fuori sembrava di assistere ad una sfida sul chi fosse più anticivilizzatore ed eco-anarchico) e persino prepotenti qualificando chiunque non condividesse idee e azioni come un riformista o sinistro, anche se anarchico e partecipe di azioni armate. Tutto ciò ha contribuito ancor più a non destare molto interesse. Anche lo scambio di polemiche via internet con alcuni gruppi europei o le accuse di certi siti autoritari contro alcuni anarchici ha fatto sì che il panorama anarchico in Messico non venga considerato come rilevante, nonostante la gran quantità di attacchi che si stanno verificando ed il coraggio dei compagni che le effettuano.

Purtroppo, possiamo dire con rammarico che, a volte a ragione (per le polemiche di cui sopra) ed altre senza alcun motivo, da queste parti (almeno da quel che ci risulta) non viene preso troppo sul serio l’anarchismo insurrezionale in Messico. Ma, a dire il vero, non viene preso sul serio nessun altro posto che non sia la Grecia, quindi non prendetevela a titolo personale.

10.- Qualcosa che volete aggiungere, con tutta la libertà per farlo?

Siccome ci siamo già dilungati con l’intervista, non ci resta altro che felicitarvi per l’iniziativa, per la pubblicazione che editate (anche se qui non viene percepita, a noi piace e serve da ispirazione) e dare il coraggio e l’appoggio ai compagni del Messico che stanno mantenendo viva la fiamma dell’insurrezione, giocandosi spesso la vita e la libertà per farlo.

Crediamo che l’anarchismo in Messico abbia avuto un salto qualitativo e quantitativo piuttosto importante e questo è qualcosa che, discrepanze a parte, merita tutto il nostro rispetto. Più in là di alcuni dimostrazioni solidali a livello economico che sono venute fuori da Barcellona per il sostegno ai prigionieri, ci piacerebbe far qualcosa in più per sostenere la lotta che state portando avanti e che ci sembra importante supportare. Speriamo di poterne, in un futuro non molto lontano, essere all’altezza.

Un forte a caloroso abbraccio anarchico dal mediterraneo.

Non potranno fermarci.

______________________

Note:

*. Questa domanda l’abbiamo fatta perché in realtà non si sa molto di questa regione della Catalogna, o almeno in comparazione a quel che si conosce di Grecia, Italia, Cile o Messico.

This entry was posted in informalità and tagged , , , , , , . Bookmark the permalink.