Fernando Del Grosso

Noi abbiamo bisogno di credere a nostro proprio rischio ad ogni ipotesi abbastanza viva da tentare la nostra volontà” – F. Del Grosso

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testo a cura di Marilù Maschietto

Era nato a Chieti, grande paese di magistrati e giudici, i suoi genitori davano per scontato che anche lui non avrebbe deluso le aspettative, ma era anarchico, mai avrebbe lavorato con la legge e soprattuto odiava ciò che gli permetteva di giudicare gli altri.

La famiglia era antifascista; la madre, appena udiva lo schiamazzo del gerarca con i suoi uomini che passavano sotto casa, cominciava a sbattere un grande tappeto rosso, e loro capivano, oh se capivano…

Sul finire della guerra -gli americani erano già sbarcati e marciavano verso Roma- una tragica mattina un manipolo di camicie nere sequestrarono alcuni ragazzi del paese, due erano i fratelli Del Grosso.

Furono fucilati nella piazza, azione crudele ed inutile; il più piccolo dei fratelli fu attaccato ad una jeep e trascinato sui viottoli di campagna fino alla morte.

Fernando, da vecchio, ancora non riusciva a parlarne, né a raccontare di come aveva raccolti i miseri resti, e ancora ricordava le lunghe strisce rosse sulle punte delle pietre e sull’erba.

La madre, che aveva visto tutto, morì poco dopo e Fernando, ormai solo, entrò nelle Brigate partigiane Garibaldi, che si divisero ed una prese il nome di Brigata Del Grosso, in ricordo dei due fratelli uccisi.

Il compagno li aveva ben visti in faccia ed alcuni purtroppo li conosceva…

Combattendo con i partigiani riuscì ad ucciderli tutti, ma solo il capo, quello che aveva diretto tutto, era sparito.

Ma un giorno gli fu detto dove era, alla Risiera di San Saba, l’unico campo di concentramento nazista in Italia; anche lì continuava a torturare ed uccidere.

Durò parecchi giorni l’appostamento, ma una sera sull’imbrunire se lo trovò davanti. Era come al solito in divisa, lo guardò ed urlò: “Del Grosso, cosa fai qui?”, ma non finì la frase.

Lo lasciò così, steso in terra, con gli stravolti dal terrore e, indubbiamente, un attimo prima di morire aveva capito che per lui era la fine.

Da allora, da quel corpo steso sotto il lampione, Fernando cominciò a vivere… Ma il suo cuore si era ammalato, lo vedevamo sempre affannato con la trinitrina in tasca e i cerotti vasodilatatori in petto.

Nonostante questo, era sempre presente dove c’era bisogno di lui, informato su tutte le situazioni dei compagni ed informatissimo sulle carceri: i compagni lo adoravano.

Un giorno fu ricoverato, la situazione si era aggravata maggiormente e ci lasciò così, sempre pensando a noi.

Fernando Del Grosso era un compagno anarchico e faceva parte del gruppo di Azione Rivoluzionaria.

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